AAA OTTIMISMO CERCASI

Sui mercati finanziari europei aleggia il fantasma di una nuova ondata di pessimismo. Non dipende da un fattore in particolare, bensì da una “sfortunata serie di eventi” come titolava Lemony Snickets (pseudonimo di Daniel Handler) in una fortunatissima serie di romanzi dark per ragazzi. Se però numerosi indizi fanno almeno una prova ecco che si fa avanti l’idea che per il vecchio continente il clima di generale ottimismo possa essere repentinamente cambiato.

 

LE BANCHE RISENTONO DELLA SFIDUCIA

Se vogliamo cominciare dal settore bancario, forse di incidenti ne scorgiamo più di uno, a partire dal fallimento del Banco Popular, salvato in Giugno dal Santander (che ha permesso di risparmiare i depositanti) ma dove il buco per azionisti e obbligazionisti “junior” è risultato pari a 37 miliardi di euro, il doppio delle popolari venete.

Ed esattamente come nel caso di queste ultime, se la normativa europea può adattarsi alle circostanze (in funzione degli interessi commerciali e strategici di questo o quel paese che la domina) invece di risultare un baluardo di certezza, ecco che il resto del mondo torna a guardare i nostri mercati finanziari come noi normalmente apostrofiamo quelli del sud-America !

LA NUOVA NORMATIVA SUI NON PERFORMING LOANS

Il recente “giro di vite” della Banca Centrale Europea sui crediti deteriorati infatti sicuramente non ha riempito di gioia chi aveva appena rotto gli indugi ed era tornato a investire sulle banche europee, perché esso obbliga queste ultime a coprire entro sette anni con nuove risorse di capitale le perdite sugli NPL (non performing loans), ma soprattutto le obbliga a coprire entro due anni i crediti deteriorati di più recente formazione. Di fatto la BCE sta comunicando alle banche europee che devono raccogliere più capitale e l’effetto silurico sulle quotazioni delle medesime risulta ovvio persino a un bambino.

Preoccupanti anche le nuove stime circa l’ammontare complessivo dei crediti deteriorati in Europa: si presume che essi superino i mille miliardi di euro nominali, by-passando dunque la speranza che la normativa potesse non affliggere più di tanto il mercato dei capitali.

I TASSI CRESCONO

Se non vogliamo proseguire con l’ovvia elencazione di sfortunate coincidenze che sono culminate nella quasi-guerriglia urbana di Barcellona, ecco che un altro fattore di “attenzione” torna alla ribalta: i tassi impliciti sul mercato dei bond (che non rendono più quasi nulla) stanno tornando a crescere, in particolare in Italia (vedi grafico), rovinando la festa alle quotazioni del mercato dei titoli a reddito fisso (bonds) che devono quindi riallinearsi verso il basso.


Paragoniamo per un attimo i nostri mercacon quello americano: l’indice curato da Merril Lynch sui bond europei ad alto rendimento ci segnala un tasso medio di ritorno del 2,3%. Esattamente il medesimo dei titoli di stato americani a dieci anni. Ora, cambi valute a parte, voi quale preferireste tra i due rischi?

Il punto è che la BCE ha incentivato l’acquisto di obbligazioni aziendali in Europa da parte degli investitori istituzionali, anche per lasciarle libero il mercato dei titoli di stato sul quale l’offerta iniziava a scarseggiare in presenza del programma di acquisti noto comunemente come Quantitative Easing, tutt’ora in corso. Ovviamente tutti si chiedono quando finirà cosa succede al mercato e, nel dubbio (che è quasi una certezza) arrivano le prese di beneficio.

LE BORSE EUROPEE SONO SATOLLE


Se vogliamo infine porre la ciliegina sulla torta l’indice di borsa EuroStoxxs è cresciuto, da un anno a questa parte, dell’80% lasciando spazio a più di una vendita per realizzare i profitti accumulati soprattutto da parte di quegli investitori asiatici che avevano puntato a guadagnarci ben due volte: con le borse e con il cambio delle valute. Anche quest’ultimo ha arrestato la sua corsa e adesso si parla di tornare a rivalutare l’Euro solo a partire dal nuovo anno (una boccata d’ossigeno per l’Italia).

Si è anche visto con le prese di beneficio occorse nel primo giorno di quotazione della Pirelli: il più grande collocamento di sempre della Borsa Italiana ha lasciato un po’ tutti con la bocca amara. Fosse passato qualche altro giorno magari sarebbe stato addirittura rinviato!

Sappiamo anche che le attese per un lieve recupero del prezzo del petrolio e dei “consumabili” energetici (gas, carbone, ecc…) non faranno piacere all’industria del vecchio continente e che il record di esportazioni europee (che aveva favorito soprattutto le imprese cisalpine) raggiunto nella prima parte del 2017 non è destinato a durare nel tempo, anche a causa del cambio contro dollaro, che a partir dall’inizio dell’estate ne ha peggiorato la competitività.

NUOVI RATING ALL’ORIZZONTE?

Manca solo il “colpetto” decisivo delle immancabili puntate autunnali delle agenzie di rating sui mercati europei (tutte rigorosamente americane) perché i medesimi tornino a ridimensionarsi in maniera più consistente, ancora una volta a favore di quelli d’oltreoceano. È la legge del più forte (lo Yankee), che alla fine vuole il bottino maggiore sui mercati.

Sarebbe lui il conte Olaf dell’arcinota serie di romanzi di Lemony Snickets? Come diceva sempre il Divo Giulio quando gli facevano domande cattivelle: “a pensar male si fa peccato, però…

Stefano di Tommaso

 




SULLE BORSE GLOBALI DUE MONDI CONTRAPPOSTI: TITOLI DIFENSIVI O TECNOLOGICI?

Sui listini di tutto il mondo la galassia dei titoli tecnologici appare avere andamenti sempre più contrapposti a quelli di un’altra galassia, quella dei titoli azionari dei comparti tradizionali. Investire sugli uni risponde infatti a logiche molto differenziate dall’investire sugli altri.

 

Sono oramai molti molti mesi che le borse globali galleggiano su livelli record e che, per questo motivo, i gestori del risparmio si interrogano su come orientare gli investimenti per rispondere alle esigenze dei loro sottoscrittori. L’onda lunga delle nuove tecnologie ha favorito guadagni meravigliosi ma sicuramente i titoli “tecnologici” se da un lato promettono ancora performance eccezionali, dall’altro costituiscono una scommessa forte e rischiosa. I loro corsi sono soggetti a violente oscillazioni anche a causa del fatto che la calma piatta in superficie dei mercati ha incentivato una decisa rotazione dei portafogli.

Sino ad oggi poi anche il mercato dei titoli a “reddito fisso” ha fornito ottime soddisfazioni, ma il livello “quasi zero” dei tassi di interesse fornisce poca attrattiva per gli investitori e per questo motivo essi tendono a preferire investimenti azionari “difensivi” cioè orientati verso titoli a bassa oscillazione e con elevate politiche di dividendi.

Quel che accade perciò rassomiglia ad un processo di polarizzazione degli investimenti. È ormai come se ci fossero per ogni grande borsa del mondo due diversi mercati azionari:

•da un lato quello dei titoli azionari emessi da aziende tradizionali, dove gli investitori hanno da tempo rinunciato a fare scorribande e alla speranza di cospicui apprezzamenti in conto capitale, ma dove cercano invece una sponda di lungo termine, che assicuri loro la cedola e la solidità (per “bondificare” cioè “obbligazionarizzare” i loro investimenti).

•dall’altro lato quello dei titoli emessi da start-up tecnologiche, aziende del mondo internet e società con elevato potenziale di crescita: tutti titoli che esprimono invece forti attese di rivalutazione, assieme ad un’elevata volatilità. Questo mercato risponde al veloce cambiamento delle attese man mano che si chiariscono le tendenze di fondo delle curve esponenziali delle performances. Dunque con titoli come Snapchat che vanno giù e quelli come Amazon o Tencent che invece continuano a correre.

Ovviamente gli investitori non sanno bene se e quando saltellare dall’una all’altra galassia, ma appare loro tuttavia abbastanza chiaro che i titoli appartenenti alla prima sembrano divenuti quasi inscalfibili e immutabili alle oscillazioni degli umori persino quando i peggiori timori geopolitici prendono il sopravvento. Dipendono forse maggiormente dalla liquidità dei mercati che però ancora oggi resta molto elevata (vedi il grafico qui allegato che riporta una delle spiegazioni”tattiche” per cui le borse sino ad oggi non sono andate giù: anche nell’ultimo semestre la liquidità sui mercati si è accresciuta ).

Mentre i titoli appartenenti alla seconda galassia (i “tecnologici”) appaiono molto più sensibili alle oscillazioni degli indicatori economici, al trading online e, in definitiva, al “consensus” del mercato. La loro volatilità è infinitamente più alta anche perché settimana dopo settimana qualcuno di essi appare essere un cavallo stanco, altri corrono più delle aspettative e in media scontano maggiormente i timori di un improvviso ridimensionamento dei listini.

Un interessante comparto industriale rimasto forse a cavallo tra i due mondi appare essere quello dell’automobile, dove convivono FCA e GM da una parte, ancora ostinatamente orientati al design più che all’innovazione e dall’altra parte aziende innovative come Tesla, produttrice di auto elettriche supertecnologiche e capaci di guidare quasi da sole. Con tutte le vie di mezzo come Toyota, WW e Volvo, che hanno saltato il fosso della tecnologia di trazione con motori termici tradizionali ma non del tutto e non prevalentemente.  Ovviamente i titoli di Tesla volano, dominati dalle attese sulle consegne di autoveicoli la cui domanda supera di molte volte l’offerta, mentre sugli altri titoli aleggiano minacciosi i nuvoloni della prossima riduzione della spesa per consumi, cui essi possono risultare più sensibili della media.

Utile anche domandarsi chi ci rimette in una tale forte diaspora tra le due diverse tipologie di titoli azionari, mossa dai timori di fondo di possibili ridimensionamenti delle quotazioni. La risposta è che non rientrano in nessuna delle due categorie oggetto di questa polarizzazione i titoli meno liquidi e quelli a minor capitalizzazione. Ma anche quelli emessi da imprese non fortemente caratterizzate come “market leader” di qualche specifico settore, le start-up in generale e forse anche i progetti di IPO. La polarizzazione degli investimenti in fondo è uno dei tanti modi adottati dal mercato per mettersi sulla difensiva !

 

Stefano di Tommaso

 




BENVENUTI NELL’ERA DEL QUANTITATIVE INVESTING

Dopo l’euforia dei mercati arriva una fase di consolidamento che vede gli investitori attenti alle nuove tecniche quantitative di costruzione dei portafogli basate sul concetto di “Bondification”. Vediamo cosa significa.

 

C’era una volta il “Trump Trade”, vale a dire quell’euforia dei mercati finanziari che era immediatamente succeduta all’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, provocando forti aspettative di riduzione della tassazione e incremento degli investimenti infrastrutturali. Per molti mesi i mercati di quasi tutto il mondo (emergenti compresi) sono saliti uniformemente creando la sensazione che la rinnovata crescita economica globale avrebbe risvegliato il mondo dalla deflazione e alimentato guadagni generalizzati sui mercati.

Oggi invece, alla vigilia di un’estate che si preannuncia algida e relativamente povera di novità sostanziali, salvo il forte rischio di un nuovo acuirsi delle tensioni geopolitiche globali (quantomeno in Siria), con il raffreddarsi delle aspettative di inflazione nei paesi OCSE (che si pensava potesse addirittura tornare prepotente sulla scena) molti investitori stanno facendo “ruotare” i portafogli limitando gli investimenti più speculativi, mentre si torna ancora una volta a parlare di “quantitative investing” e, in particolare, di quella nuova tendenza nelle strategie di investimento che seleziona portafogli di titoli azionari configurandoli per avere caratteristiche simili a quelle di un titolo a reddito fisso di natura sintetica, nota come “bondification”.

ALLA SCOPERTA DELLA “BONDIFICATION”

La strategia, al di là delle sue caratteristiche tecniche (di rischio e rendimento) e dell’intelligenza che essa può esprimere, torna oggi in voga per rispondere ad una fondamentale esigenza di combinare prudenza e ritorni significativi negli investimenti da parte dei gestori di fondi pensione, degli amministratori di riserve tecniche delle compagnie assicurative e dei tesorieri istituzionali di qualunque tipo.

Quello che si è visto infatti dopo le ultime, drammatiche crisi finanziarie, è che anche seguendo una politica di forte differenziazione degli investimenti effettuati e anche limitandosi a selezionare titoli a reddito fisso o collegati ad una importante garanzia sottostante, quando i mercati finanziari picchiano, essi tendono a muoversi più o meno tutti nello stesso modo, provocando ingenti perdite di valore anche nei portafogli gestiti dagli investitori più moderati, quelli che avevano sperato di scambiare minori rendimenti potenziali con una maggior protezione dai rischi.

Una volta cadute quelle certezze del passato relativamente alle cosiddette “asset classes” (cioè alla tipologia di titoli disponibili sul mercato), ecco che quegli operatori del mercato finanziario che sono ugualmente costretti a cercare forme di impiego a limitato rischio speculativo e con buona capacità di pagare un reddito periodico, si sono rivolti a sistemi complessi di analisi quantitativa per trovare delle risposte alle loro esigenze.

Il Financial Times di qualche giorno fa per mano di John Authers ne compie un’ampia indagine per comprendere il fenomeno, descritto come il trend del momento dal Rapporto Annuale fornito da “Create-Research” per Principal Global Investors, che ha intervistato oltre 700 gestori professionali di patrimoni i quali, nel complesso, controllano investimenti per quasi 30.000 miliardi di di Dollari.

Il segreto della Bondification sta sicuramente nella selezione scientifica di titoli azionari emessi da grandi società con basso indebitamento, business stabile, buona generazione di cassa e conseguente forte politica dei dividendi. Più o meno il contrario delle caratteristiche dei titoli tecnologici che sono andati a ruba fino a qualche mese fa.

LA “ROTAZIONE” DEI PORTAFOGLI

Non soltanto in tale modo gli investitori più avversi al rischio possono risultare in grado di costruire l’equivalente di un portafoglio obbligazionario evitando di accettare i rendimenti quasi a zero che si trovano ancora oggi sul mercato.

Quel che sta avvenendo è anche che la rotazione dei portafogli nelle ultime settimane derivante dai timori di qualche significativa correzione sui mercati sta spingendo anche gli altri gestori di patrimoni, che normalmente erano più propensi a prendere dei rischi, tra le braccia degli analisti “quantitativi” capaci di costruire portafogli di titoli diversificati non più sulla base delle “asset classes” bensì soprattutto sulla base dei loro indici statistici di rischio, indipendentemente da quale asset class cui appartengono e, ovviamente, alla “bondification”.

IL TRIONFO DEI “QUANTS”

Per comprendere l’attenzione che sta generando il fenomeno della progressiva sostituzione dei “traders” sui mercati finanziari con ingegneri e specialisti di analisi finanziaria quantitativa, può essere utile dare un’occhiata a un articolo apparso su Bloomberg Finance qualche mese fa denominato “Inside A Moneymaking Machine Like No Other” (ecco il link: https://www.bloomberg.com/news/articles/2016-11-21/how-renaissance-s-medallion-fund-became-finance-s-blackest-box ) dove si spiegava la rivoluzione copernicana negli investimenti proposta da Renaissance Technologies, un misterioso e leggendario gruppo economico, gestore di fondi “hedge” e in particolare del “Medallion Fund”, riuscito a generare profitti per 55 miliardi di dollari dai propri investimenti negli ultimi 28 anni senza quasi mai perdere nemmeno nei momenti più difficili.

Renaissance Technologies ha insomma performato meglio di George Soros e Ray Dalio, prendendo tra l’altro un numero di rischi molto minore e in un periodo più breve!

Quale il segreto? Enunciarlo è più semplice di quanto si possa immaginare: mettere insieme e investire in cervelli e conoscenze scientifiche provenienti dai rami più disparati dello scibile per generare tecnologie interpretative dei segnali provenienti dal mondo reale, applicandole negli investimenti azionari. Più difficile è ovviamente farlo davvero, e per un periodo di tempo così lungo come quasi un trentennio.

Ma al di là della storia straordinaria di questa società di investimenti, campione mondiale del settore, l’impossibile risposta all’eterna questione di dove investire nei momenti più difficili oggi arriva soltanto da quelli che una volta erano definiti i “nerds”, gli intellettuali con la testa fra le nuvole. Che oggi -con il loro approccio pragmatico ai numeri della Finanza- più che mai sembrano aver vinto la battaglia per il successo.

Stefano di Tommaso




Red Shift

Potrebbe essere arrivato il momento di osservare i mercati finanziari attraverso un diverso metodo, dal momento che quello tradizionale con il quale interpretiamo i risultati dell’analisi “fondamentale” basandola sull’andamento delle principali variabili macroeconomiche, ci fornisce invece un quadro assai contraddittorio, che sinora è stato capace di ingannare la maggior parte degli analisti finanziari.

 

IL CANTO DELLE CORNACCHIE

Sono infatti almeno sei mesi (dopo la fine del 2016 quando la borsa è salita in funzione del cosiddetto “Trump trade”) che ci sentiamo ripetere che i listini azionari sono sopravvalutati, che -compiuti i fatidici sette anni- il ciclo economico positivo non può che volgere al suo naturale termine (almeno in America), che il “tapering” delle banche centrali occidentali restringerà la liquidità in circolazione e tornerà ad alzare i tassi (sebbene per quelle orientali il discorso sia, almeno per il momento, assai diverso) e che dunque sia destinata a sgonfiarsi la gigantesca bolla speculativa che ha favorito i listini e pompato anche i valori dei titoli a reddito fisso.

Sembra sopita per il momento persino la speranza di essere entrati in una nuova epoca che -a partire dal mondo anglosassone- inauguri un deciso taglio alle tasse e un forte incremento degli investimenti per infrastrutture, due fattori che avrebbero il potere di  rilanciare decisamente la crescita economica globale.

Eppure i mercati finanziari non sembrano affatto averla presa male. Restano a galleggiare tranquillamente sui massimi di sempre, assorbendo sinanco l’impatto (oramai dato per scontato) del secondo turno di rialzo dei tassi USA a metà Giugno e, anzi, il corso del Dollaro sembra incamminato verso una china discendente nonostante la Federal Reserve abbia chiaramente indicato che i rendimenti del biglietto verde saliranno tre volte ancora, dopo quello imminente.

LA CRESCITA DEGLI UTILI NON PLACA I TIMORI

Aggiungiamo che i profitti delle società quotate che compongono i principali indici di borsa nell’anno in corso sembrano ulteriormente destinati a crescere: del 24% nell’Eurozona e dell’11% in USA. L’America sembra inoltre veder crescere il suo Prodotto Interno Lordo del 2,3-2,5% quest’anno, contro un 1,6% medio dell’Europa (una crescita media che, senza alcune palle al piede di Paesi resilienti come l’Italia, sarebbe superiore al 2%).

Buone notizie, da piena ripresa economica, o da nuovo slancio del ciclo esistente. Ma secondo gli analisti queste cifre non bastano da sole a giustificare i nuovi massimi dei mercati azionari, non bastano per spiegarne il mancato ridimensionamento. Al contrario! Tutti si aspettano a breve qualche pericolo: un crollo delle borse o, quantomeno, una riduzione dei valori d’azienda espressi dai multipli dei profitti.

Sebbene sia quasi impossibile per chiunque formulare delle ipotesi accurate, lo è tanto più difficile quanto più si voglia navigare controcorrente in contrapposizione al coro generale degli analisti e strateghi di borsa che continuano a guardare la quiete dei mercati quale precursore di tempeste che -nella mia umile opinione- non si materializzano forse mai.

Il mio punto di osservazione mi porta invece a vedere un ordinato dispiegamento di fattori di crescita e di consolidamento dell’economia globale, soprattutto nel continente asiatico, nell’ambito di un mondo che -nel complesso- vede espandere la sua popolazione e la sua produzione di servizi digitali (spesso gratuiti ma che generano comunque importanti valori aziendali) a ritmi ben superiori alle risibili percentuali di crescita economica dell’Occidente.

IL “RED SHIFT” DELL’ECONOMIA MONDIALE

Nell’osservazione dell’Universo, il “red shift” (ovvero lo “spostamento verso il rosso” delle onde elettromagnetiche ricevute) è la constatazione dell’effetto “Doppler” relativo all’allontanamento delle galassie da cui esse provengono, effetto tanto più marcato quanto più sono distanti. Il “red shift” è perciò divenuto nel tempo il sinonimo dell’espansione dell’Universo, misurato in frazioni infinitesimali se proviamo a usare il nostro tempo (anni) e il nostro metro (multipli di chilometri), ma di portata inimmaginabile se lo computiamo su base cosmica, cioè osservando gli oggetti più lontani.

Ed è proprio a partire dall’osservazione degli oggetti più lontani che vorrei argomentare la mia personale spiegazione degli eventi economici globali: la crescita economica che si materializza soprattutto in Asia, con i suoi 5 miliardi di abitanti (quasi dieci volte quelli di USA e Eurozona insieme), i quali in massima parte stanno uscendo adesso dalla condizione di indigenza, è un bradisismo espansivo che trova limitato riscontro nelle statistiche ufficiali, innanzitutto per due motivi:

1) La crescita economica è espressa in valori monetari denominati in divise relativamente deboli rispetto a Dollaro e Euro (si dice che il P.I.L. della Cina avrebbe superato quello americano già nel 2012 se lo Yuan non si fosse svalutato ben di più);
2) una parte consistente della crescita economica è invece basata sulla generazione di contenuti e valori digitali, a partire da quello del Bitcoin, che non trovano posto nelle statistiche ufficiali ma che esprimono valori di accelerazione ben superiori a quelli ufficialmente rilevati.

Si legga ad esempio il saggio di Brookings “l’espansione senza precedenti della classe media nel mondo” nel link qui di seguito: https://www.brookings.edu/wp-content/uploads/2017/02/global_20170228_global-middle-class.pdf.

I BENEFICI PER L’OCCIDENTE

Di una parte di questa crescita si avvantaggiano ovviamente le economie occidentali (ecco che le esportazioni europee crescono ben più delle importazioni, e così si rivaluta l’Euro), un’altra parte di quella crescita va a compensare le esigenze della base demografica che si allarga, una parte di essa infine alimenta l’economia sommersa.
Dunque una parte non trascurabile della “crescita che non si vede” va a ingrassare i profitti delle grandi corporations euro-americane i cui certificati azionari compongono gli indici di borsa. Ed è questo il motivo per il quale i loro profitti crescono oggi ad un ritmo che è dieci volte quello delle economie di loro appartenenza.

Con la crescita dell’economia digitale inoltre i valori inespressi generati dal world-wide web sono probabilmente più elevati di quanto evidenzino le relativamente poche aziende tecnologiche ancora quotate nelle borse valori, la cui maggioranza dei titoli non riguarda l’economia digitale.
Prova ne è la maggior crescita -rispetto agli indici di borsa generali- del listini “tecnologici” come quello del NASDAQ, o meglio ancora gli indici dei valori riferiti alle aziende ipertecnologiche, come il “Robo-Index” (si legga al riguardo un mio recente articolo:  http://giornaledellafinanza.it/2017/05/01/arriva-il-robo-index/ ).

IL RISCHIO DI INCEPPO E LO SPAURACCHIO GEO-POLITICO

È chiaro che la crescita dei valori in gioco e dei profitti (attuali e futuri) che li sostengono può teoricamente portare a incendiare la dinamica salariale, può creare una crisi di liquidità se in parallelo non si diffonderanno ulteriormente strumenti di pagamento alternativi come -appunto- quello del BitCoin, arrivando a generare in definitiva un possibile panico per gli investitori ma, come si dice nell’ambiente aeronautico, “un aereo dentro l’hangar è sempre più sicuro di uno in volo, ma non è nato per restarci”!

Così possiamo prendere in considerazione nelle nostre analisi la probabilità di scossoni stagionali nell’estate, di quelli congiunturali derivanti dal rialzo dei tassi, di quelli prospettici dovuti al ritardo con il quale verranno varate le riforme fiscali e i nuovi grandi investimenti infrastrutturali.
Ma se la crescita economica globale mantiene il suo ritmo attuale, allora le prospettive finanziarie resteranno nonostante tutto fortemente positive!
Questo è anche il motivo per cui tutti si preoccupano per le Borse ma nessuno liquida i propri titoli. E se lo avesse già fatto negli ultimi mesi avrebbe senz’altro sbagliato.

Cosa resta da temere allora? A mio modesto avviso un vero spauracchio, in questa ottica, resta eccome, anzi si dilata, perché può uccidere il vero motore della crescita globale e, indirettamente, silurare i livelli attuali dei listini azionari: è quello della variabile geo-politica!
Il partito della guerra ha sempre tanti sostenitori, troppi, forse, ora che in ballo c’è un’espansione economica come in passato non se ne erano mai viste! Un’espansione corroborata dalla scienza, da un crescente rispetto dell’ambiente, da una relativa pacificazione globale.

Dopo l’astronomia allora è doveroso citare anche la fisica delle particelle: insieme al “red-shift” ci vuole insomma un vero e proprio “quantum leap” (salto quantico) nella qualità della politica internazionale, al fine di riuscire a mantenere le sfere in movimento verso un mondo più complesso sicuramente, ma nel complesso anche migliore.

 

Stefano di Tommaso