LA RESILIENZA DELL’ECONOMIA REALE


Non c’è commentatore al mondo che negli ultimi mesi non abbia gridato allarme (e a ragione, direi) per i mercati finanziari. Nel primo quadrimestre 2018 questi hanno vissuto infatti un violento risveglio della volatilità e, persino le borse che hanno performato meglio, come quella di Milano, hanno al massimo limitato i danni.

 

Per Wall Street in particolare (che poi dá il tono a tutte le altre borse) il momento non è affatto facile ma bisogna notare al tempo stesso che la congiuntura negativa provocata dal rialzo dei tassi e dalla riduzione della liquidità in circolazione non ha tuttavia nemmeno provocato dei veri e propri crolli.

L’ultima notizia è quella della risalita non solo dei tassi a breve termine americani voluta dalla Federal Reserve, ma anche quella del rendimento dei titoli di stato decennali a stelle e strisce oltre la soglia psicologica del 3% , con il conseguente calo e delle quotazioni del titolo.


Ma quella che potrebbe suonare come una conferma del fatto che i mercati continueranno a scendere in corrispondenza di tassi più elevati a molti è invece apparsa come una mezza buona notizia.

LA “CURVA DEI RENDIMENTI” RESTA POSITIVA

Se la “curva dei rendimenti” infatti (il grafico che registra i rendimenti di mercato per ciascuna scadenza, dalle più brevi alle più lunghe) ha ancora un‘ inclinazione positiva (cioè i tassi sono più alti per le scadenze più lunghe) allora molti analisti tirano un respiro di sollievo: quello che comunemente è indicato come il primo indicatore di recessione (l’inversione dell’inclinazione della curva medesima) oggi ci dice che l’inversione del ciclo economico non sembra essere alle porte, nemmeno per l’economia americana che ha beneficiato sino ad oggi del più lungo ciclo positivo che si ricordi e che ci si aspetta possa essere la prima a registrare una virata.

Di seguito due grafici utili a visualizzare la situazione complessiva: da un lato (sinistro) la curva dei rendimenti, dall’altro (il destro) la performance di Wall Street negli ultimi 18 anni, dove in alto a destra si può cogliere il rintracciamento dell’ultimo periodo ma, al tempo stesso la sua relativa portata rispetto alla tendenza di lungo termine (che sembra ancora positiva).


Qui sotto possiamo vedere nel dettaglio, aggiornata al 24 Aprile, la struttura dei rendimenti americani per ciascuna scadenza:

Questo il “sentiment” comune degli operatori che perciò leggono nelle ultime evoluzioni del mercato finanziario anche dei segnali positivi di riposizionamento su una “normale” risalita dell’intera struttura dei tassi a causa del manifestarsi dell’inflazione, mentre al tempo stesso il fatto che quest’ultima è salita ma non di molto, nonostante un’ottima dinamica dei salari e della riduzione della disoccupazione fa ben sperare in una robusta crescita dell’economia reale senza che essa di “surriscaldi”.

L’OTTIMISMO DELLE AZIENDE. IL CASO CATERPILLAR

Da cosa deriva il relativo ottimismo? Innanzitutto dalle validissime notizie che giungono dall’andamento degli utili delle aziende di tutto il mondo: non sono mai stati così buoni e sembrano relativamente sincronizzati un po’ su tutto il pianeta. Una recente notizia, quella dell’ottima performance della Caterpillar, considerata l’azienda che meglio indica l’andamento dell’economia globale, è stata salutata da tutti come una conferma in tal senso. Di seguito i risultati di CAT:


Ma non solo: le innovazioni tecnologiche avanzano con decisione nell’automazione industriale e, insieme con esse, cresce anche il valore creato dalla “sharing economy” (l’economia della condivisione: quella che permette di ottenere gratis o quasi numerosi servizi in cambio di pubblicità e informazioni) che quasi sempre sfugge alle statistiche sul prodotto globale lordo ma non per questo non esiste.

Il fatto che l’economia globale cresca su base annua ad un ritmo vicino ( o probabilmente superiore) al 4% è testimoniato inoltre dalla dinamica positiva dei prezzi delle materie prime, come si vede nel grafico qui riportato:


IL CICLO ECONOMICO NON SEMBRA A RISCHIO

Queste e altre considerazioni fanno pensare che la volatilità che i mercati finanziari stanno subendo nelle ultime settimane sia in realtà quella tipica delle correzioni che arrivano sempre a metà del ciclo economico: e che perciò quest’ultimo abbia dunque ancora un paio di annetti di buona strada davanti a sè (tensioni geopolitiche permettendo) prima di invertire la rotta.

Certo quando la liquidità complessiva scende e i tassi crescono orientarsi sui mercati diventa molto più difficile, così come la necessaria rotazione dei portafogli che la correzione in corso provoca porterà probabilmente a ridimensionare le valutazioni stellari dei titoli legati a internet quali i FAANG ad esempio (acronimo che indica quelli a maggiore capitalizzazione come FACEBOOK, AMAZON, APPLE, NETFLIX e GOOGLE).

IL DOLLARO POTREBBE ANDARE CONTROCORRENTE

In questa situazione molti investitori decidono “tout-court” di restare liquidi e di non reinvestire in titoli azionari che una piccola parte di quanto avevano in precedenza in portafoglio (cosa che mi porta a credere che deterranno Dollari e che il biglietto verde, di conseguenza, potrebbe anche rivalutarsi, mentre le borse europee sembrano più stabili e meno sopravvalutate e di conseguenza vedranno un minor numero di disinvestimenti insieme, forse, ad un Euro più debole). Dunque la “rotazione “ dei portafogli è parziale e non favorisce che marginale i titoli anticiclici.

Ma bisogna anche notare che sono mesi che sono iniziati il processo di disinvestimento “strategico” dal mercato azionario e quello della rotazione dei portafogli e che dunque non c’è da attendersi dei veri e propri “tonfi” dei mercati americano e asiatici, che pure vedono le loro unghie spuntarsi a causa della forte incidenza sui loro listini dei titoli “tecnologici”.

DIFFICILE FARE “STOCK-PICKING”

Probabilmente è tornato di nuovo il momento di selezionare (con molta parsimonia) l’acquisto di titoli “value” (che esprimono cioè maggior valore intrinseco), sebbene bisogna difendersi dall’elevata correlazione che le borse hanno mostrato di recente tra i tra i titoli dei diversi comparti, lasciando perciò poco spazio alla selezione dei portafogli. Di seguito un grafico al riguardo:


E’ interessante notare che l’indice di correlazione qui riportato non sia andato alle stelle soltanto quando le borse stavano per crollare, ma anche in molte altre occasioni in cui semplicemente gli investitori hanno avuto più paura. Un mezzo buon segno insomma. Insieme ad un avvertimento: in momenti come quello attuale nessuna borsa è davvero in acque sicure, nemmeno quella italiana! (di seguito l’andamento dell’indice negli ultimi 5 anni):

 

Stefano di Tommaso




LO SCANDALO FACEBOOK ACCENDE I RIFLETTORI SULLA VOLATILITÀ DEI TITOLI TECNOLOGICI

Nella sola giornata di borsa di lunedì i 6 più famosi tra I titoli cosiddetti “tecnologici” (FAAMGN: Facebook, Apple, Amazon, Google, Netflix e Microsoft) hanno perduto valore per complessivi quasi 12 miliardi di dollari (100 miliardi di euro).  L’occasione che ha acceso la scintilla delle vendite è stata sicuramente il ribasso sul titolo Facebook, a causa del fatto che la polemica sull’elezione di Donald Trump l’ha coinvolta per aver permesso l’accesso ai dati personali di 50 milioni di suoi utenti a una società di consulenza che lavorava per l’elezione del futuro presidente. Ma la caduta nel valore di capitalizzazione di Facebook è valsa solo 39 miliardi di dollari, mentre gli effetti complessivi sui FAAMGN sono assommati a tre volte tanto.

L’evento, per nulla inusuale sui mercati borsistici internazionali quando si parla di titoli a larghissima capitalizzazione e legati alla sfera di Internet (vedi tabella)

ha comunque scatenato una caterva di timori, considerazioni e commenti da parte degli analisti di borsa, e non a caso.

Molti segnali di allarme circondano i mercati finanziari da quando i valori di borsa sono andati alle stelle e soprattutto riguardo ai titoli tecnologici, che sono quelli cresciuti maggiormente nell’ultimo anno.  Bisogna infatti ricordare che l’intero comparto è cresciuto nell’ultimo anno del 31% e che l’indice dei titoli tecnologici (lo SP500 Information Technology Index) è arrivato a una valutazione media di quasi 19 volte gli utili attesi, il 12% della sua media di lungo periodo (15 anni).

Da tempo diversi investitori con una filosofia di approccio di tipo etico hanno iniziato a dismettere le loro partecipazioni in questo genere di azioni quotate, nel timore di qualche scandalo, mentre anche Apple sta da tempo fronteggiando perplessità legate alla tenuta della sua filiera di approvvigionamento di materiali e componenti pregiati (vedi grafico)

Rimangono inoltre irrisolti i dubbi sulla possibilità che un’ondata di nuove regolamentazioni possano limitare le aspettative di crescita del commercio elettronico e dei social media e poi in molti si interrogano circa la validità della scelta della Federal Reserve Bank of America (la banca centrale americana) di alzare ancora una volta i tassi di un altro quarto di punto (sapremo mercoledì se lo farà davvero) nonostante l’inflazione non abbia ancora dato segni preoccupanti e le borse appaiano decisamente più caute.

Ma soprattutto i dubbi degli investitori si concentrano sulla possibilità che i picchi raggiunti dalle quotazioni negli ultimi mesi possano scatenare sulle quotazioni borsistiche le medesime conseguenze che ebbe all’inizio del nuovo millennio lo scoppio della bolla speculativa dei titoli della “new economy” detta anche “bolla delle Dot Com” (vedi grafico). Dall’inizio dell’anno ad oggi I titoli del settore “public utilities” (acqua, elettricità, servizi pubblici eccetera) sono scesi del 5% mentre I titoli tecnologici sono saliti del 7% e mostrano spesso valutazioni completamente scollegate con gli usuali criteri finanziari.

Continueranno a scendere fino a creare una vera e propria valanga ? Probabilmente no: non sembrano esserci le condizioni perchè si formi una vera e propria voragine sui mercati. Ma come già altre volte abbiamo già preso atto, quest’anno la volatilità sembra essere di nuovo protagonista, e non è detto che il futuro non ci riservi nuove terribili sorprese!

Stefano di Tommaso




CINQUE GRAFICI RIASSUMONO IL 2017

Ecco a Voi cinque grafici, pubblicati dal Guardian, che riassumono efficacemente l’andamento delle principali variabili economiche dell’anno. E qualche considerazione che se ne deduce.

LE BORSE DI TUTTO IL MONDO SONO QUASI SOLO ANDATE SU:

NONOSTANTE LA LORO CORSA SFRENATA HANNO REGISTRATO LA PIÙ BASSA VOLATILITÀ DEI CORSI DELLA STORIA RECENTE, CONFERMANDO LA NATURA ASSAI POCO SPECULATIVA DEGLI ACQUISTI E FORNENDO STABILITÀ ALLA CRESCITA:

IL COMMERCIO GLOBALE HA FINALMENTE RIPRESO LA SUA CORSA NEL 2017 (nonostante la globalizzazione abbia fatto aumentare il numero degli stabilimenti produttivi nel mondo) E LO SI VEDE DALL’ANDAMENTO DEI PREZZI DEI NOLI MARITTIMI :

MENTRE IL PETROLIO HA INIZIATO A METÀ ANNO A RISALIRE E DA QUEL MOMENTO LO HA FATTO STABILMENTE, EVIDENTEMENTE LA FORTE RIPRESA MONDIALE ALIMENTA LA DOMANDA DI ENERGIA CHE, CONTRO OGNI PREVISIONE, SUPERA DI MISURA LA GRANDE OFFERTA DI MATERIA PRIMA :

E INFINE IL TORMENTONE DELL’ANNO: IL BITCOIN, PARTITO DA 1000 DOLLARI A GENNAIO E ARRIVATO QUASI A 20.000 DOLLARI PER POI RITRACCIARE, MA SOLO DI POCO:

 

COSA SE NE PUÒ DEDURRE?

•che le borse non crolleranno così presto, anzi!
•che la volatilità dei corsi potrebbe però tornare a crescere;
•che l’impennata del commercio globale fa bene alla crescita economica ;
•che la risalita del prezzo del petrolio è indice di forte salute dell’economia globale e, a sua volta, favorisce le esportazioni di molti paesi emergenti;
•che la crescente liquidità mondiale cerca strade alternative a quelle imposte dalle banche centrali, probabilmente proprio dove le restrizioni sono più forti, riversandosi sulle criptovalute le quali vengono viste come riserva di ricchezza al riparo da dittature e tassazioni anche a causa dell’impossibilità di incrementarne artificialmente l’offerta;
•che la tecnologia sottostante, il blockchain, è considerata inattaccabile e sarà perciò presto adottata in una miriade di altre applicazioni collegate alla “nuvola”.

 

Stefano di Tommaso




L’ECONOMIA CORRE, IL LAVORO E L’INFLAZIONE NO

Solo un paio di anni fa il mondo temeva una “stagnazione secolare” e la possibilità di una contestuale ripresa dell’inflazione (dunque una “stagflazione”) a causa dei timori legati a presunti effetti perversi dei Quantitative Easings (le politiche delle banche centrali volte a immettere liquidità sui mercati attraverso l’acquisto di titoli). Oggi sembra essere cambiato tutto: dai timori siamo passati agli stupori e persino alla noia nel leggere tutti i mesi bollettini economici trionfanti più o meno in tutto il mondo e al tempo stesso ciò avviene in assenza di fiammate inflazionistiche. Viviamo nel migliore dei mondi possibili o dobbiamo rivedere seriamente i metodi di raccolta dei dati statistici per effetto delle mutate condizioni generali al fine di riuscire a rappresentare un quadro più veritiero? Probabilmente sono vere entrambe le affermazioni.

 

Le borse valori sono passate da una crisi profondissima nel 2008 (che tutti concordavano nell’accomunare a quella del 1929 per la sua straordinarietà) a una grande euforia negli ultimi anni ma adesso destano una generalizzata apprensione per i livelli stratosferici toccati. E per di più godono di una bassa volatilità dei corsi, quasi che la situazione attuale sia percepita come assolutamente normale e non vi sia niente di strano nel poter toccare il cielo con un dito.

Un altro segno che le normali teorie dei cicli borsistici sono anch’esse superate dai fatti e che gli economisti e gli analisti finanziari non sanno più a che santo votarsi? Probabilmente si, sebbene nessuno si senta di escludere la possibilità che domani mattina qualche notizia inaspettata possa far crollare rovinosamente i mercati finanziari e mettere fine al regno del bengodi che stiamo sperimentando negli ultimi tempi.

UNA MONTAGNA DI DENARO FRESCO ASPETTA DI RIENTRARE IN BORSA

Eppure il numero di soloni che hanno sperato di passare alla storia nel riuscire a predire la prossima crisi dei mercati è in continuo aumento. Gli “strategist” delle società di gestione degli investimenti finanziari che consigliano di vendere tutto in borsa sono sempre più numerosi e, tra l’altro, vanno avanti da più di un anno a cercare asset alternativi. Tutto denaro che sarebbe potuto affluire in borsa e che invece ha perduto la giostra dei mercati che ha spedito più in alto del 30% i corsi azionari rispetto a circa un anno fa (quando si pensava che il mercato fosse già ai massimi di sempre) è stato riversato su immobili, opere d’arte, beni rifugio e criptovalute. Solo su queste ultime hanno avuto ragione. Mentre su tutto il resto magari non hanno perduto quattrini ma sicuramente hanno perduto più di un’opportunità di guadagno e si chiedono quando “rientrare” in posizione.

Adesso chiaramente il rientrare in posizione nel momento in cui i mercati toccano l’apice del massimo valore sembra una fesseria e però questa impasse per I grandi investitori va avanti da più di un anno! “Usque tandem?” Direbbe un banchiere centrale in deciso imbarazzo parafrasando Cicerone che si rivolgevano a Catilina! Dunque se da un lato le borse fanno paura dall’altro c’è un’altra montagna di liquidità di coloro che sono rimasti fuori e che si chiedono quand’é che le borse scenderanno un po’ per trovare l’occasione giusta per giustificare il loro ravvedimento. La morale è semplice: le borse difficilmente crolleranno ma anzi, sugli eventuali storni troveranno altro denaro fresco ad attenderle, anche per cogliere l’opportunità dei profitti sempre più grassi che stanno caratterizzando le principali società quotate nel mondo.

LO SPETTRO DELL’INFLAZIONE E DEL RIALZO DEI TASSI

Ma non ci sono solo i mercati finanziari: l’economia mondiale cresce per la prima volta a ritmo elevato e sincronizzato e non si trova quasi traccia di inflazione, nemmeno dove essa dovrebbe naturalmente stare: nei paesi più avvantaggiati dalla crescita nel terzo mondo, che hanno sperimentato il maggior incremento del numero degli occupati e che dispongono perciò di maggior reddito disponibile da spendere nei consumi. Gli economisti se lo chiedono ma, quale che ne sia la ragione, le statistiche fanno piovere numeri che sembrano certi: la stagione dell’inflazione sembra archiviata per un po’ di tempo almeno.

Il punto è che qualche segnale di attenzione relator ai prezzi è spuntato quá e lá: il petrolio è decisamente sui massimi delle medie storiche recenti (ha sfondato il muro dei 60 Dollari, contro molte previsioni che vedevano il permanere di un eccesso di offerta) e sembra puntare ancora più in alto mentre il corso del Dollaro, tanto per le annunciate politiche fiscali accomodanti del Presidente Trump, quanto per l’attrazione dei mercati finanziari americani, sembra di nuovo orientato al rialzo.


Se i prezzi di tutte le altre materie prime verranno influenzati da queste due variabili alla fine un po’ di inflazione la importeremo di sicuro! Tardi magari ma sì: non si colgono al contempo pari forze deflazionistiche all’opera per controbilanciare le pressioni sui prezzi.

Come sempre tuttavia la questione non sta nelle discussioni di principio (inflazione si o no) bensì nella misura delle cose: un leggero incremento ci proietterebbe -più di quanto non sia già oggi- nel migliore dei mondi possibili. Un incremento sostenuto dell’inflazione suonerebbe invece come una campanella d’allarme. Se posso avanzare uno spassionato parere: per molte ragioni è più probabile il primo che il secondo scenario (come si è visto per la Gran Bretagna). Dunque è possibile che la stagione della crescita non sia a un passo dalla svolta, bensì abbia imboccato un lungo percorso.

Le banche centrali tra l’altro sono sul piede di guerra pur senza avere individuato il fronte dove combatterla. Gli incrementi omeopatici dei tassi di interesse con ogni probabilità si concretizzeranno, e contribuiranno a debellare la possibilità di una più forte fiammata inflazionistica, mentre non è affatto scontato che danneggeranno i mercati.

LE PROSPETTIVE ITALIANE

In un quadro internazionale così rassicurante, l’Italia resta un Paese che guarda i grandi avvenimenti in una posizione non esattamente da protagonista, non solo per il macigno del debito pubblico che continua a crescere ma soprattutto perché un’intera area del Paese mostra scarsi segnali di vitalità e a causa delle pesantissime limitazioni della burocrazia. Eppure ha appena incassato una promozione sul proprio rating (quasi inaspettata) e da parte della più autorevole delle Agenzie: Standard & Poor’s, ragione per la quale è probabile che le altre seguiranno.

Un recente sondaggio tra gli analisti finanziari dá per scontati almeno altri sei mesi di crescita economica sostenuta, la cui vera portata sarà probabilmente rivelata solo al termine di tale periodo, cioè a ridosso delle elezioni politiche, vero banco di prova della stabilità.

Nel frattempo la rincorsa ai grandi del mondo continua con relativo successo e una serie di indicatori “fondamentali” porta il segno positivo. È possibile tra l’altro come dicevamo che i migliori dati macroeconomici verranno al riguardo rilasciati il più tardi possibile, per ovvi motivi di campagna elettorale dei partiti oggi al governo, cosa che lascia sperare in una relativa ulteriore forza del sistema bancario nazionale, vero flucro della tenue ripresa subalpina e comparto cardine di una parte consistente della capitalizzazione complessiva della Borsa Italiana, la quale già gode di ottima salute per lo straordinario numero di nuove imprese che decidono di varcarne la porta.

Quasi impossibile comporre dunque un quadro negativo, o anche soltanto fumoso se non fosse per il fatto che si prepara l’ennesimo autunno caldo di lotte sindacali. E questo a ridosso di una ripresa industriale ancora giovane e poco consolidata con molte imprese italiane che invece devono ancora fare quella pulizia nei bilanci (e negli esuberi) la sola cosa che può permettere loro di trasformare una brezza di positività in miglior produttività ed efficienza, essenziali per consolidare le buone performances.

Dunque una frase di cautela concedetemela: il momento è positivo, fin che dura!

Stefano di Tommaso