BORSE: ADESSO È POSSIBILE UN MINI-RALLY DI NATALE

Il vertice di Buenos Aires del G20 almeno una nuova buona sembra averla portata: un vero protocollo di intesa tra America e Cina. Sembra infatti che nel corso del vertice Trump e i suoi colleghi abbiano “strappato” al presidente Xi la promessa di un sostanziale riequilibrio della bilancia commerciale tra U.S.A. e Cina, accogliendo le istanze della Casa Bianca, da molto tempo lasciate inascoltate.

 

I meglio informati dicono che i vertici cinesi hanno preso atto del fatto che l’intera classe politica americana so era oramai convinta della necessità di ciò e che non potevano più puntare sull‘indebolimento di Donald Trump per uscire dalla stretta cui il suo governo l’aveva sottoposta. A dirla tutta ha fatto la sua parte anche l’estrema decisione con la quale gli americani avevano evocato la minaccia di un‘escalation delle sanzioni, equivalenti a una vera e propria crociata giustizialista contro la Cina.


Ciò corrisponde a una doppia buona notizia per i mercati, dal momento che se alle dichiarazioni seguiranno i fatti, non solo verranno meno le prospettive di riduzione della crescita del commercio mondiale (e con esse quelle di una forte frenata dello sviluppo economico), ma anzi l’America vede consolidare la leadership del suo Presidente e la stabilità politica, si sa, gioca un ruolo importante nelle valutazioni degli investitori.

E se gli elefanti smettono di lottare, sono soprattutto le formiche che tirano un sospiro di sollievo!

LA CONGIUNTURA PER LE BORSE È STATA DEPRIMENTE FINO AD OGGI

Le borse erano rimaste infatti profondamente segnate nelle scorse settimane dall’ingrigire delle prospettive economiche, in parte dovute a fattori fortemente congiunturali(come il crollo dei consumi di beni fisici, la crescita dei tassi di interesse e l’approssimarsi della fine del ciclo economico espansivo) e in parte a causa del ridimensionamento delle aspettative (quali i timori sui danni all’economia globale derivanti dalle guerre commerciali, quelli della minor crescita dei profitti aziendali e quelli derivanti dagli eccessi di debito che il mondo continua ad accumulare).

Il risultato è stato una forte riduzione delle quotazioni dei titoli azionari (come si può vedere dal grafico qui riportato) sebbene una parte della medesima sia andata a beneficio dei titoli a reddito fisso.



LA SVALUTAZIONE DEL RENMINBI

Ora è possibile tornare a sperare che i due giganti economici (il P.I.L. a cambi costanti della Cina avrebbe superato quello americano già nel 2012 se non avesse ripetutamente e consistentemente svalutato il Renminbi, come si vede nel grafico).

E, dal momento che una delle conseguenze più gravi del deflagrare della guerra commerciale tra U.S.A. e Cina è stato il brusco rafforzamento del Dollaro (praticamente contro qualunque altra divisa), le principali vittime dello scontro sono state le economie più deboli del pianeta, troppo spesso stra-indebitate in Dollari e per questo motivo a rischio di default di Stato. Non solo: come ricorderanno tutti anche la politica di rialzi dei tassi portata avanti dalla Federal Reserve Bank of America (FED) ha attratto capitali nell’area-Dollaro, riducendo la liquidità degli altri mercati finanziari e provocando un travaso di ricchezza dalle economie deboli a quelle più forti.

LA MOSSA DI POWELL

Neanche a farlo apposta invece lo scorso Mercoledì Jerome Powell, Governatore della FED, ha preso i microfoni e ha fatto un discorso diverso dal solito, con un tono diverso dal solito, affermando che gli attuali tassi di interesse sono “appena sotto” le stime di un tasso “neutrale” rispetto all’inflazione. Traduzione nel linguaggio dell’uomo della strada : forse non ci sarà più bisogno di continuare con il rialzo dei tassi di interesse anche perché le stime sull’inflazione sono assai moderate. Le borse hanno festeggiato il cosiddetto “Powell Put” (la mossa di Powell)con dei rialzi e, adesso che è arrivata l’altra buona notizia, quella di uno stop alle guerre commerciali con la Cina, sono pronte a festeggiare il Natale con un bel rialzo.


I motivi della possibile ripresa delle borse vanno anche al di là dei due fattori precedentemente citati: la forte correzione dei corsi ha determinato probabilmente una situazione speculativa di “iper-venduto” sui mercati che ora va ricoperta in fretta. Inoltre la notizia indirettamente fornita da Powell ai mercati è che l’inflazione dei prezzi nemmeno questa volta sta correndo, dunque i consumi non sono surriscaldati nè i salari sono cresciuti troppo. Dunque l’economia americana è più sana di ciò che si poteva pensare solo qualche giorno fa e avrà forse la forza di tornare a fare da traino alle altre nel mondo.

Ma se proviamo a stimare quanto potrebbe durare l’euforia, nessuno ha risposte certe. La Cina potrebbe aver soltanto aver “comperato tempo” nel braccio di ferro con l’America (anche se stavolta appare improbabile) e gli operatori sono comunque all’erta perché è indubbio che il ciclo economico si trovi ad uno stadio molto avanzato di maturità.

Mentre quindi qualche slancio in avanti la speculazione lo farà di sicuro, altri potrebbero essere tentati di cogliere l’occasione per vendere al meglio le loro posizioni residue. Il combinato effetto delle due forze potrebbe dunque tendere all‘ annullamento reciproco. Nemmeno la banca centrale americana poi è così certo che abbia finalmente smesso di incrementare i tassi d’interesse: sè nuove fiammate inflazionistiche dovessero alla fine fare la loro comparsa probabilmente non solo lei, ma anche le altre maggiori banche centrali potrebbero fare qualche mossa in avanti, con il risultato che i mercati finanziari tornerebbero a deprimersi.

Siamo e rimarremo nel campo delle ipotesi, sebbene qualche ventata di ottimismo abbia sicuramente percorso l’America durante il fine settimana, risalendo velocemente le Ande, da Buenos Aires fino a farsi sentire nella valle dell’Hudson!

Stefano di Tommaso




BORSE:VEDREMO IL RALLY DI FINE ANNO?

Dopo molte settimane di debolezza dei mercati finanziari (e in particolare delle borse) si moltiplicano le attese di un rimbalzo, non fosse altro che per motivi statistici o per le ricoperture degli speculatori al ribasso. O ancora, se si vuole ascoltare le gole profonde del mercato, a causa della necessità dei gestori di patrimoni, giunti a fine anno, di ammantare le scarse performances del 2018 con una vernice non troppo negativa. Ma quante chances ci sono che il rally parta davvero? E quanto durerà?

 

WALL STREET

La statistica può darci una mano guardando da un lato al grafico di copertina, che segnala un rimbalzo significativo dell’indice globale delle borse mondiali (in Dollari) riportandolo nell’ultima settimana esattamente sulla media dell’ultimo anno, e dall’altro lato al grafico qui sotto riportato, che mette a raffronto l’andamento stagionale (per settimana) storico medio di Wall Street (da sempre la piazza finanziaria che dà l’impostazione a tutte le altre) dalla prima alla 52.sima settimana dell’anno, comparato con l’andamento effettivo dell’indice Dow Jones nel 2018 fino all’inizio di Novembre:

 

Come si può osservare, per Wall Street l’impostazione dell’intero anno 2018 (linea blu) appare un po’ sotto tono ma sostanzialmente in linea con la media stagionale di lungo periodo (linea rossa) ma dobbiamo tenere conto del fatto che negli ultimi anni è la piazza finanziaria che è cresciuta di più e dove c’era da attendere le maggiori prese di beneficio.

L’andamento del Dow Jones nel 2018 tuttavia rispecchia la stagionalità media soltanto fino alla 41.ma settimana (seconda di Ottobre), quando invece esso fa uno scivolone significativo (si veda il mio articolo del 19 Ottobre u.s.) e inverte la tendenza al rialzo che normalmente lo caratterizza intorno alla fine dell’anno.

PIAZZA AFFARI

Come si può riscontrare dal grafico qui riportato, più o meno la stessa cosa avviene nel medesimo periodo alla Borsa Italiana (sebbene l’impostazione annuale fosse ancora peggiore) salvo un recente rimbalzo ancora più deciso di quello americano, probabilmente a causa di una maggiore incidenza delle ricoperture degli speculatori al ribasso, che è notorio siano nelle ultime ottave più pesantemente presenti sul nostro listino:

 

UN MINI-RALLY DI FINE ANNO LO ATTENDONO IN MOLTI

Cosa succede dunque: proseguirà l’andamento negativo anche nel corso del prossimo mese (fino alla vigilia di Natale) o si invertirà? La risposta esatta sarebbe: “dipende”, ma è anche la più scontata. Anticipiamola subito allora: probabilmente no, il rimbalzo ha tutte le premesse per poter proseguire. Gli analisti danno una probabilità del 75% che il mese a venire chiuda positivamente per Wall Street (e ricordiamoci che c’è una correlazione statistica del 76% tra l’andamento di quest’ultima e quello della media delle altre borse internazionali). Dunque anche per quelle periferiche come Milano esiste la speranza statistica di una prosecuzione in territorio “non negativo”.

I LIMITI ALL’OTTIMISMO

Esiste tuttavia un doppio limite all’ottimismo: innanzitutto l’accresciuta volatilità :

Come si può notare dal grafico relativo all’indice VIX (di volatilità), è soprattutto dalla seconda settimana di ottobre che essa si è impennata a Wall Street (indice SP500) per poi riposizionarsi esattamente sulla media dell’anno lo scorso Venerdì.

Ma anche e soprattutto un altro limite è dettato dall’andamento dell’economia mondiale, sul quale non esistono grafici aggiornati sebbene la maggioranza degli analisti finanziari concordi sul fatto che è in corso un rallentamento della sua crescita e, soprattutto, che difficilmente si vedranno nel corso del 2019 prospettive significativamente migliori di quelle del 2018.

Dunque anche senza cadere nel pessimismo, è relativamente improbabile che la rincorsa delle borse alla performance positiva nel 2018 (o tuttalpiù meno negativa, come a Milano) possa proseguire anche oltre la fine dell’anno.

LO SPREAD

Per il nostro Paese c’è da registrare un ridimensionamento della speculazione al ribasso sui nostri titoli di Stato, registrata anche dall’andamento dello Spread con quelli tedeschi, asceso a livelli preoccupanti sempre intorno all’inizio di Ottobre (dunque con una componente “importata” di non poco conto) ma poi stabilizzatosi intorno al 3% e, nella prima parte di Novembre, addirittura ridisceso al 2,9%.

Purtroppo su questo fronte è troppo presto per cantare vittoria, ma una cosa di sicuro esso significa: la speculazione al ribasso contro il nostro Paese si è (almeno per il momento) decisamente placata, e questo sottrae uno dei pilastri più significativi alle attese di ulteriore ribasso della borsa: al momento la fuga dei capitali all’estero sembra essersi arrestata.

L’ECONOMIA GLOBALE

A livello globale tuttavia i segnali sono contrastanti: da una parte c’è l’andamento formidabile dell’economia americana che fa ben sperare possa agire da traino, almeno su quelle europee. Nel grafico qui riportato si vede un importante recupero dei salari, con una crescita dei quali (intorno al 3% su base annua) che non si vedeva da prima della grande crisi del 2008 :


Un analogo segnale positivo lo forniscono i profitti aziendali americani, cresciuti costantemente a partire dal 2016 su base annuale ben di più delle retribuzioni (in media quasi del 12% nel terzo trimestre 2018, contro una media storica dell’ultimo ventennio poco sopra l’8%), in particolare per il comparto dell’energia (63% su base annua) delle telecomunicazioni (56% su base annua) e per quello finanziario (33% su base annua):

Sul fronte negativo c’è il progressivo venir meno, dopo quasi dieci anni di costante somministrazione, della “droga” che ha esaltato le performance delle borse di tutto il mondo: l’incremento della liquidità indotto dalle banche centrali. Nel corso del 2019 infatti l’immissione netta di liquidità diverrà negativa (contro i 720 miliardi di dollari del 2018 e i 1800 del 2017) e, con questo passaggio, molti analisti si attendono di vedere le borse riprendere l’impostazione negativa che ha soltanto fatto capolino nell’ultimo scorcio del 2018.

I TASSI DI INTERESSE

Per non parlare dei rialzi dei tassi: se è vero che l’ampia anticipazione delle proprie mosse fornita dalla Federal Reserve Bank of America ha fatto sì che tutti i mercati stiano dando per scontati altri tre o quattro rialzi dei tassi di interesse, resta altrettanto vero che gli effetti degli stessi sulla risalita del Dollaro americano non potranno che incrementarsi, rischiando di mettere in ginocchio i bilanci di molti Paesi Emergenti (indebitati in Dollari) e continuando ad attirare capitali in U.S.A. facendoli fuggire dalle periferie del mondo dove essi trovavano migliori opportunità di profitto e assolvevano al compito fondamentale di finanziarne lo sviluppo.

È perciò in corso un progressivo “spiazzamento” dell’investimento azionario da parte dei titoli a reddito fisso, il rendimento dei quali non soltanto cresce, ma lascia anche molto più tranquilli gli investitori professionali e istituzionali che trovano quantomai interessante riporre oggi sotto il tetto sicuro delle cedole periodiche le plusvalenze ottenute sino a ieri nelle borse valori.

A QUANDO LA PROSSIMA RECESSIONE?

È infine attesa da tutti -al termine del 2019- la “fine del super-ciclo economico positivo” che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni di ripresa da una delle maggiori crisi finanziarie dell’ultimo secolo. L’elezione di Donal Trump ha contribuito parecchio a rinviarne il termine (atteso già alla fine del 2016) ma, mano mano che gli anni passano, l’arrivo di una periodica recessione (seppur magari non necessariamente drammatica), si fa sempre più probabile e le borse lo sanno. In quest’ottica il rimbalzo prevedibile per fine anno non può essere visto come la ripresa indefinita della crescita esponenziale delle borse per l’intero 2019, ma soltanto come un momento di assestamento.

Stefano di Tommaso




LA POSSIBILE RIVINCITA DELLA BORSA ITALIANA

È solo di un paio di settimane fa la messa sotto osservazione del rating italiano da parte di Fitch, la prima delle agenzie di Rating internazionali ad avere in scadenza la revisione periodica del merito di credito della Repubblica Italiana, e ci sembra di parlare di una precedente era geologica. E risale a poco più di un mese fa il crollo del ponte di Genova e il codazzo infinito di polemiche sulla responsabilità prima e sulle ricostruzioni poi (non solo di quello già caduto).

Allora le (serie) argomentazioni della maggioranza al governo circa la necessità di avviare una stagione di rilancio degli investimenti infrastrutturali e, con essi, anche dell’economia italiana, fecero rabbrividire gli euro-burocrati (già preoccupati per le belligeranti promesse di reddito di cittadinanza e flat tax) sulla tenuta dei conti pubblici. Il risultato di quei giorni fu il rilancio dello spread (tra i rendimenti dei BTP italianai e quelli dei Bund tedeschi) a livelli visti soltanto all’epoca dell’ultimo governo Berlusconi. Anche le stime sulla crescita del nostro P.I.L. sono state riviste al ribasso e oggi ci si aspetta di chiudere l’anno con una crescita dell’1,2%.

Ancora oggi, all’alba della pubblicazione del Documento di Economia e Finanza (DEF) attesa entro il prossimo 27 Settembre, lo spread italiano resta a livelli elevati, ma la situazione sembra -quasi d’un tratto- non fare più paura a nessuno, anzi! È la Germania, non l’Italia, a subìre gli strali dell’amministrazione Trump per il suo comportamento in materia di pressioni sull’Europa e di commercio internazionale, e forse nemmeno del tutto a torto. Mentre è notizia fresca la crisi sistemica delle principali banche tedesche, a sostegno delle quali Angela Merkel avrebbe stanziato altri 100 miliardi di euro.

L’attuale coalizione al governo del Bel Paese, da molti già data per spacciata alla ripresa della pausa estiva, potrebbe invece inanellare una serie di insperati successi già entro le prossime due-tre settimane, complice il rasserenato clima internazionale relativamente a dazi e dogane che giova di sicuro anche alle imprese esportatrici cisalpine. Non solo: il nuovo vertice della Cassa Depositi e Prestiti impersonato dall’amministratore delegato Palermo è al lavoro su un vorticoso piano industriale da presentare entro fine Ottobre che dicono potrà prevedere quasi un centinaio di miliardi di investimenti.

E se, come sembra, le prossime settimane faranno segnare agli indici di borsa una seppur effimera ripresa, anche i timori sul debito italiano e sulla lentezza della crescita dell’economia italiana potrebbero finire per essere spazzati via. Inutile dire che un tale scenario non farebbe che un gran bene alle poco fortunate vicende della borsa italiana, principalmente vittima negli ultimi mesi di un’ingiustificata fuga di capitali dalle banche italiane e dai nostri titoli di stato.

Il giornale Milano Finanza fa notare che da fine Marzo ad oggi è al 6,6% il divario di performance tra il Ftse Mib di Milano e l’indice generale Eurostoxxs 600 (al +2,7%) che peraltro comprende anche Milano (-3,9%); dunque le altre azioni europee hanno fatto anche meglio. Il medesimo indice europeo ha a sua volta accumulato un divario di performance con Wall Street (indice SP500) dell’8,6%, dal momento che nello stesso periodo quest’ultima è cresciuta dell’11,3%. Perciò Milano è rimasta indietro di oltre il 15% rispetto a New York in meno di 6 mesi. La fuga dall’Italia ha colpito soprattutto le banche nazionali, con il Ftse Banks Italia, sceso nel medesimo periodo del 13,6% contro il 3,9% complessivo di Milano.

Ma questo è anche il motivo per il quale si è creata l’opportunità di un arbitraggio sul azioni italiane, vittima sino a ieri di timori sulla salute economica dell’intero Paese e che oggi potrebbero beneficiare della migliorata congiuntura. Le attese degli analisti (e l’attuale misura dello Spread, oggi intorno a 230 centesimi di punti percentuali) sono infatti incentrate su un deficit dei conti pubblici programmato dal ministro Tria per il DEF del 2019 pari al 2,3%. Secondo un rapporto di UBS ogni frazione di punto migliorativa rispetto a quel numero potrebbe innescare una pari discesa dello Spread e la forte ripresa dell’ottimismo sui titoli italiani, i quali potrebbero beneficiare anche del rinnovato ottimismo a livello internazionale. Addirittura secondo Pictet la borsa italiana potrebbe recuperare il suo “gap” con il resto d’Europa già solo se il DEF dovesse parlare del 2%.

Ovviamente parliamo di fine Settembre-inizio di Ottobre, nel momento di massima intensità della campagna elettorale americana. Su quello che succederà poi non vi sono meno che meno certezze. In particolare con la settimana del 6 Novembre (giorno delle votazioni di medio termine) potrebbe terminare l’idillio di Wall Street con il presidente Trump e, di conseguenza, anche le altre borse valori potrebbero risentirne. Non solo, ma anche la revisione del rating sulla Repubblica Italiana è atteso per fine Ottobre da parte di Stanndard&Poor il 26 e Moody’s entro la settimana successiva.

In quei giorni tutto sarà possibile..!

Stefano di Tommaso




SE L’INFLAZIONE FRENA

Come sempre gli Stati Uniti stanno anticipando alcune tendenze di fondo (deregulation, diminuzione della pressione fiscale ma anche razionalizzazione della spesa pubblica, investimenti infrastrutturali, allargamento dei buyback azionari e dei piani di stock options, crescita salariale, riequilibrio della bilancia dei pagamenti) che non potranno non estendersi presto a buona parte del resto del mondo, a partire dalle altre due grandi nazioni del Nordamerica (Canada e Messico).

 

DOMANDA BASSA E OFFERTA ABBONDANTE CALMIERANO LA CRESCITA DELL’INFLAZIONE

Quanto avviene negli Stati Uniti ha effetti decisamente positivi sull’incremento dell’offerta di beni e servizi, perché tutto ciò accresce il reddito disponibile per i consumi, soprattutto quelli digitali e in servizi avanzati, mentre sul fronte della domanda di beni e servizi invece si intravede una correzione al ribasso a causa di molti fattori, dall’avanzata del commercio digitale al ritorno dei capitali verso le piazze finanziarie più “sicure”, ai dazi, alle sanzioni nei confronti di Cina e Russia, fino al conseguente e voluto ritorno della centralità del dollaro (usato come arma politica) alla progressiva ri-localizzazione delle produzioni industriali dai paesi (emergenti) a più alto sviluppo demografico verso quelli a crescita negativa.

Il fenomeno più evidente è l’ampiamente previsto rallentamento della produzione industriale cinese e, di conseguenza, il rallentamento della crescita dei prezzi di materie prime e forniture energetiche (gas e petrolio) che probabilmente avrà ripercussioni positive anche nel resto del mondo.

Anche per questi motivi Wall Street resta imperterrita sui valori massimi storici, nonostante sia dato per scontato l’ennesimo aumento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve.

Le aspettative sono buone per il prossimo futuro anche per l’Europa, sebbene l’Italia debba ancora dimostrare che non creerà problemi di credibilità istituzionale.

 

LE GUERRE DOGANALI MONTANO AD EST E SI PLACANO AD OVEST

Anche le paure legate alle cosiddette “guerre commerciali” che hanno riempito le testate dei giornali di tutto il pianeta sembrano stemperarsi, soprattutto per ciò che riguarda il Nordamerica e l’Europa, le cui dispute tariffarie paiono avviarsi verso soluzioni di accettabile compromesso, come peraltro era stato ampiamente anticipato su queste colonne, e con buona pace dei “soloni” della domenica che prefiguravano scenari apocalittici.

La più modesta realtà che si dispiega invece sembra quella di un presidente americano propenso (anche a scopi elettorali) a percepire il dividendo immediato di un rieqdella bilancia commerciale a americana tramite accordi bilaterali bonari, almeno nei confronti dell’Europa e del resto del Nord America, dal momento che con Russia e Cina è invece in atto un confronto politico ben più profondo; volto al ridimensionamento della loro influenza sui paesi emergenti limitrofi.

Il risultato dello scenario che si può cercare di anticipare per Settembre sui mercati finanziari sembra essere quello di una dinamica di inflazione assai meno preoccupante, cresciuta si ma oggi stabilizzata sostanzialmente attorno ai valori già visti (poco più del 2% in America e qualche centesimo in meno in Europa), se non addirittura in lieve ribasso, anche poiché l’impennata vista nella prima parte del 2018, fortemente influenzata dalla risalita dei prezzi di materie prime e derrate alimentari, sembra aver esaurito il suo vigore.


Anche in Italia l’inflazione è cresciuta insieme alla mini-ripresa economica, ma in misura decisamente inferiore al resto d’Europa, tanto a causa della scarsa dinamica salariale (la disoccupazione resta stabilmente sopra al 10%) quanto per la pressione fiscale, addirittura in lieve aumento.

Uno dei fattori che spingono al raffreddamento delle pressioni inflazionistiche è poi l’elevatissimo livello di indebitamento, tanto nel settore pubblico quanto nel privato, non soltanto in Cina ma anche in tutto il resto del mondo. Il de-leveraging che ne dovrebbe conseguire potrebbe costituire una polizza di garanzia contro l’avanzata dell’inflazione ancora per molti anni a venire.

 



IL COSTO DEL LAVORO NON SALE

Altro fattore di contenimento della possibile dinamica inflazionistica è il progressivo affievolimento dell’influenza delle battaglie sindacali sulle relazioni industriali, quantomeno quelle sull’incremento dei redditi, visto che la crescente automazione produttiva determina, per quelli di base, addirittura una pressione al ribasso e la crescita dei salari, casomai, riguarda le elevate specializzazioni in servizi, tecnologia e manutenzione degli impianti.

Ma il contenimento del costo del lavoro è anche dettato dalla progressiva rarefazione dei posti di lavoro nell’industria, nel commercio e nell’agricoltura a causa dell’automatizzazione dei processi e della logistica, mentre al contrario in tutto il mondo la forza lavoro si accresce per motivi demografici, per i milioni di immigrati che sono di recente sbarcati in Europa (costituiscono ampliamento dell’offerta di lavoro che accetta salari minimi anche per le attività più faticose) e per la progressiva maggior quota di lavoro femminile. Il risultato è garantito: il costo del lavoro incide sempre meno sul prezzo finale del prodotto o servizio.

LA MODERATA INFLAZIONE BILANCIA LA CONTRAZIONE DELLA LIQUIDITÀ

Per fortuna questi fattori, di per sè non una buona notizia per l’umanità, lo sono nell’indicare che l’inflazione può rimanere sotto controllo, e coincidono con l’esigenza del mondo occidentale e industrializzato di ridurre l’indebitamento complessivo, cosa che restringe il moltiplicatore del credito, proprio quando le banche centrali che cercano faticosamente di fare retromarcia negli stimoli monetari rischiavano di far collassare i mercati finanziari per rarefazione della liquidità complessiva in circolazione.

Il rischio che ad un rialzo dei tassi quasi ineluttabile segua anche una fiammata inflazionistica (azzerando dunque i rendimenti reali del reddito fisso) è percepito (in parte tutt’ora) come un macigno che incombe sul l’elevato livello complessivo raggiunto dalle quotazioni delle borse e dei titoli obbligazionari. Invece la mancata fiammata inflazionistica è una boccata d’ossigeno per le produzioni industriali e i mercati finanziari.

Ma se si osserva l’indice più accreditato per la misura della volatilità delle borse (l’indice VIX detto anche l’indice della paura) negli ultimi mesi esso è ugualmente schizzato verso l’alto e bisogna dunque chiedersi se esistono altri motivi, diversi dalla paura irrazionale di un crollo repentino dei mercati e dell’arrivo di una nuova recessione globale, per i quali abbia senso tale segnale.

L’INDICE DELLA PAURA POTREBBE AVER TOCCATO IL MASSIMO

L’analisi fondamentale fornisce invece buone notizie per le borse e per i tassi d’interesse, almeno per l’autunno in arrivo. Buone notizie anche per la prosecuzione della fortunata stagione riguardante i profitti industriali e in teoria esiste anche la possibilità che si verifichi una qualche riduzione degli stock di magazzino, ciò mentre l’investimento nell’automatizzaziine degli impianti produttivi, degli imballaggi e delle spedizioni difficilmente potrà registrare una battuta d’arresto, a causa dei forti incentivi fiscali (in tutto il mondo) e dei minori costi conseguenti.

IL DEFAULT DELL’ITALIA È IMPROBABILE

Cosa dire invece del timore che i mercati scatenino una caccia alle streghe sul debito dell’Italia? Chi mi ha seguito sino ad oggi deve prendere atto che non ci ho mai creduto davvero, sia perché la disistima che il “mainstream” dell’informazione pubblica nutre verso la nuova coalizione sembra mal riposta, come per il fatto che non esistono le condizioni oggettive perchè l’Europa possa permettersi di fare a meno dell’Italia nel processo di inevitabile convergenza politica dell’Unione. Tra l’altro ciò significherebbe un “casus belli” ulteriore nei confronti degli Stati Uniti d’America e forse il definitivo funerale dell’alleanza atlantica: uno scenario non solo poco realistico ma assolutamente non conveniente per nessuno dei protagonisti.

Dunque l’Italia subirà strattoni e limitazioni, ma alla fine potrebbe farcela tanto a superare la stagione dei rinnovi dei titoli di stato in scadenza quanto quella delle spese straordinarie per l’adeguamento delle proprie infrastrutture, giudicate da tutti oramai improcrastinabili. Come dire che il default italiano non è probabilmente dietro l’angolo.

 

Stefano Di Tommaso