LA CALMA SUI MERCATI, IL NERVOSISMO DEGLI INVESTITORI E LA LEZIONE DI MARK TWAIN

Quando l’indice della volatilità tocca minimi storici come quelli attuali e lo fa nell’ambito di un trend chiaramente discendente verrebbe a tutti da pensare che la calma piatta dei mercati sia divenuta un elemento acquisito.

 

Se invece si guarda le vette che le valutazioni aziendali hanno raggiunto dai tempi (quasi remoti oramai) dell’elezione di Donald Trump alla presidenza delle presidenze, giustamente si teme che quella attuale sia solo la classica calma prima della tempesta e l’istinto suggerirebbe che all’orizzonte dei mercati si intraveda un bel ribaltone, potente e improvviso, come tante volte è successo in passato dopo un periodo di eccesso di ottimismo.

OTTIMI FONDAMENTALI

Peccato che il ragionamento sopra riportato qualcuno va ripetendolo da oltre un anno e quello che invece è successo è più o meno l’opposto: i listini delle borse hanno continuato a salire di livello per svariate e molteplici ragioni: all’inizio per l’euforia di una possibile nuova era di bassa fiscalità e elevati investimenti infrastrutturali, poi con la motivazione dell’eccesso di liquidità che “affligge” le borse, di seguito per la splendida notizia della decisa ripresa degli utili aziendali (il “consensus” di mercato cita un più 4,4% nel 2017 per le blue chips di Wall Street e addirittura un più 4,5% nel 2018) un po’ in tutto il globo e per la constatazione della notevole crescita economica globale (e per di più sincronizzata), infine per la notizia della decisa ritirata dell’inflazione dalla parata dei possibili mostri all’orizzonte, accompagnata da quella che ne è conseguita per necessità: la caduta delle aspettative di rialzo dei tassi di interesse.


Se tutte queste ragioni per proseguire con l’euforia dei mercati finanziari siano fondate o illusorie solo i posteri potranno sentenziarlo, ma… “fattostà”…! Se le borse potessero scrivere una lettera agli investitori oggi forse citerebbero la più famosa delle battute di Samuel Langhorne Clemens, al secolo Mark Twain (Florida, 30 novembre 1835 – Redding, 21 aprile 1910): “le notizie della mia morte sono fortemente esagerate”!

MOTIVI DI PREOCCUPAZIONE

Eppure di motivi di preoccupazione gli investitori ne avrebbero davvero parecchi!

Dalle minacce geo-politiche di un’escalation militare attorno alla vicenda dei test termonucleari della Corea del Nord, alla debolezza della crescita dei consumi, fino alla possibilità (sempre meno realistica, invero) di un impeachment dello stesso presidente Trump, passando per la minaccia dei partiti populisti in Europa (in realtà già in fase calante dopo la vittoria di Macron in Francia) e per il rischio di implosione del sistema bancario e finanziario cinese. I debiti pubblici delle maggiori nazioni del mondo poi non accennano affatto a diminuire come pure continuano ad essere ripetute le espressioni di volontà di ridurre i portafogli dei titoli posseduti dalle banche centrali di America e Europa, con il rischio che questo fornisca la scusa per un brusco scivolone dei mercati finanziari e come se non bastasse il Dollaro si permette tra l’usco e il brusco una bella svalutazione a due cifre del cambio contro le principali valute. Ma tant’è. Le borse continuano a prosperare e lo fanno anche esibendo una calma olimpica.

AL LUPO AL LUPO

Se vogliamo rincarare la dose, sono così tanti mesi che gli investitori più importanti, quelli che “fanno opinione” continuano a suonare la campanella d’allarme e con questa scusa continuano a sobbarcarsi dosi da cavallo di derivati e altri strumenti di copertura del rischio, sono così tante le volte che essi hanno dichiarato di voler diversificare il loro portafoglio al di fuori delle borse (dagli immobili alle opere d’arte), che probabilmente oggi non solo si mangiano le unghie, ma avranno anche effettivamente indirizzato altrove parte dei portafogli gestiti per conto della clientela. Questo significa che esiste un’importante quota della ricchezza mondiale che non è stata più indirizzata verso le borse valori, proteggendole indirettamente dal rischio di un repentino collasso!

Sono in molti gli analisti che oggi prevedono che, proprio per questo motivo, se uno scivolone ci sarà, difficilmente sarà brusco e troppo importante.

MA IL MONDO GIRA…

Nel frattempo dalla parte meno rumorosa e più operosa del mondo moderno -l’Oriente- provengono quasi solo segnali positivi, di grande fiducia nel futuro e di grandi investimenti in nuove tecnologie.

La crescita economica mondiale che quest’anno rischia di macinare quasi il 4% è oramai per più di due terzi dipendente da quella del continente asiatico, che da solo totalizza oltre cinque miliardi di abitanti. A sua volta l’Asia traina le esportazioni americane ed europee e i profitti delle principali società quotate multinazionali. Ma quei cinque miliardi di asiatici, Kim Yong Un e i suoi missili sparati sui cieli del Giappone permettendo, delle paturnie prudenziali degli investitori conservativi anglofoni e continentali probabilmente se ne fregano alla grande.

 

Stefano di Tommaso




LE BORSE CROLLERANNO?

I ripetuti e crescenti timori relativi alla tenuta degli attuali -stratosferici- livelli raggiunti dalle borse di tutto il mondo mi hanno spinto a compiere un’ indagine sulla loro situazione attuale, sulle ragioni sottostanti gli scossoni percepiti negli ultimi giorni e sugli auspìci che se ne possono trarre per il prossimo futuro.

Tutti gli osservatori economici si chiedono fino a quando durerà l’incantesimo del mercato finanziario, che da più di otto anni continua imperterrito la sua corsa. A dire il vero già intorno alla metà dello scorso anno se lo chiedevano tutti, ma poi è arrivato il cosiddetto “Trump trade”, cioè l’effetto positivo sulle borse derivato dal fascino che il nuovo corso politico americano esercitava sugli investitori, promettendo meno tasse e maggiori investimenti infrastrutturali.
Con il Trump trade è in effetti cambiato qualcosa nel mondo: l’economia globale ha imboccato di nuovo un percorso di crescita e la stessa cosa è accaduta per tutti i paesi OCSE, a partire dall’America, facendo dimenticare i timori di nuovo scoppio della bolla finanziaria. Oggi, a un anno esatto di distanza da quel momento storico, le politiche economiche promesse dal presidente americano non sono ancora state varate e le borse sono salite ancora di un bel po’, ragione per cui i medesimi dubbi si ripropongono.

Un recentissimo articolo della CNBC.COM riportava un questionario al quale hanno risposto circa 12.000 dei suoi suoi lettori. CNBC ha chiesto loro <<se si aspettano a breve uno “storico” tonfo delle borse>>  e ben il 44% di essi ha risposto si mentre un altro 26% nutre dei dubbi al riguardo e soltanto il 30% non lo ritiene probabile.

IL PESO DELLE ASPETTATIVE

La cosa ha dell’incredibile: il 70% degli intervistati tra la “creme” dei professionisti americani della finanza che legge quel magazine online vede dunque la possibilità a breve termine di un crollo di Wall Street! Come si può vedere nello “screenshot” qui sopra riportato, quasi non bastasse, a dare loro manforte ci si è messo anche un premio Nobel per l’economia come Robert Shiller che, intervistato in proposito, ha solo potuto fornire una sensazione, non certo una previsione razionale.

In effetti il mercato azionario americano è cresciuto più degli altri e, dal minimo toccato nel lontano Marzo 2009 (più di otto anni fa), ha più che quadruplicato il suo livello. Chiaramente un tale risultato lascia molto spazio per lo scetticismo circa la possibilità che Wall Street raggiunga ulteriori, mirabolanti vette.

L’ECCESSO DI LIQUIDITÀ HA DROGATO LE BORSE

Ma bisogna ricordare che l’intervento delle banche centrali di tutto il mondo per pompare liquidità (in queste settimane oltre che della BCE è la volta di quella giapponese) e la ripresa della crescita economica globale hanno senza dubbio contribuito a buona parte di tale performance.

La prima cosa che viene da pensare è che, quando tutta quella gente se lo aspetta, è probabile che lo scenario non si verifichi. Se infatti la stessa percentuale di intervistati si comporta di conseguenza, allora dovrebbe limitare decisamente i propri investimenti in titoli azionari, privilegiando la liquidità o degli investimenti alternativi, quelli che possano avere andamenti non correlati alla borsa (immobili, oro, eccetera). Ma se così fosse, allora bisognerebbe ammettere che c’è ancora molta liquidità in circolazione parcheggiata al di fuori del circuito borsistico e che, di conseguenza, i mercati finanziari potrebbero avere ancora molta strada da fare.
Sul versante opposto, occorre tenere presente che le aspettative sui mercati finanziari tendono ad “auto-realizzarsi”, alimentando esse stesse le possibili oscillazioni dei listini.

IL RUOLO DEI BUY-BACK E QUELLO DEI “TRADING SYSTEMS”

Per comprendere le ragioni di chi grida al possibile scoppio della “bolla speculativa ” bisogna tuttavia considerare due fattori “anomali” che hanno contribuito non poco al risultato della citata quadruplicazione dei dollari investiti sulla borsa di New York. Fattori che in precedenza avevano avuto un limitatissimo effetto sulle quotazioni azionarie:

1) un perverso meccanismo di “buy-back” (cioè di riacquisto da parte delle stesse società emittenti) tramite il quale le grandi corporations quotate utilizzano la liquidità che si ritrovano in pancia per comprare azioni proprie (invece di investire nello sviluppo dei propri mercati), principalmente per favorire gli interessi dei manager che hanno in mano delle cospicue “stock-option” (cioè incentivi ai propri manager basati sulla possibilità di ottenere azioni da rivendere poi sul mercato). Sono operazioni compiute tipicamente in frode degli azionisti di minoranza, ma il cui effetto “edulcorante” sulle quotazioni del titolo alla fine non lo disdegna nessuno, salvo il fatto che tende a far crescere artificialmente la misura degli “utili per azione”.

I buy-back dunque aiutano i corsi azionari a rimanere sostenuti nonostante il potenziale effetto depressivo delle vendite realizzate dai dirigenti, ma non solo: essi innanzitutto sortiscono l’effetto di trasferire liquidità dalle aziende ai privati che, spesso, la reinvestono sui mercati finanziari e, in secondo luogo, riducono il numero delle azioni in circolazione che andranno a spartirsi gli utili per azione (Earnings per Share: EPS) realizzati, facendo crescere artificialmente la redditività teorica delle società quotate che li mettono in pratica. Ecco un grafico relativo allo stesso periodo di otto anni testé citato, che evidenzia una crescita “fittizia” dei profitti per azione pari al 265% (più di metà della crescita totale realizzata dal mercato azionario!):

2) La diffusione di algoritmi e sistemi computerizzati per la compravendita ad alta frequenza di titoli azionari (HTFA: high frequency trading algorithms). Essi hanno oggettivamente cambiato i connotati all’andamento fino a ieri caratteristico del mercato dei capitali: fino all’avvento dei sistemi di trading infatti (basati principalmente sui principi dell’analisi tecnica), contavano molto di più le sensazioni umane e i fattori economici “fondamentali ” sul mercato azionario, circa i quali gli analisti finanziari si esprimevano anche in termini strategici.

Oggi, dieci e più anni dopo l’avvento delle contrattazioni computerizzate, l’unica variabile che conta davvero è la liquidità disponibile sul mercato (che, invariabilmente da molti anni a questa parte, cresce per effetto dell’intervento delle banche centrali di tutto il mondo).

Come sarebbe il mercato azionario senza se i regolatori avessero impedito o limitato tanto i buy-back quanto l’avvento degli HTFA? La risposta è quantomai scontata: probabilmente molto ma molto più in basso di dove si trova oggi. Anche questo è un elemento di preoccupazione: quanto è “artificiale” la situazione che osserviamo e quanto invece è motivata da fattori che presumibilmente resteranno in piedi nel prossimo futuro e che troveranno sempre maggiore ragion d’essere sulla base della crescita delle variabili macroeconomiche fondamentali?

IL RUOLO DEI TITOLI “TECNOLOGICI” NELLA CRESCITA DELLE BORSE

Ulteriori elementi di preoccupazione per le borse giungono infine dal “parterre” della medesima Wall Street, dove negli ultimi giorni una serie di titoli “tecnologici” di grande diffusione, come Alphabet (Google) e Amazon la cui capitalizzazione riflette in astratto le attese di enormi aspettative di crescita degli utili sebbene  -alla luce delle recenti preoccupazioni- abbia lasciato nelle ultime settimane sul terreno molti miliardi di dollari.

Senza l’apporto fondamentale della supervalutazione di quei titoli, entro certi limiti da ritenersi assolutamente sensata poiché basata sull’aspettativa di crescite esponenziali dei margini operativi (date le caratteristiche del modello di business delle cosiddette “internet companies”), Wall Street non avrebbe raggiunto le vette che oggi osserviamo. Eppure ogni qualvolta la valutazione di un titolo è basata sul ruolo fondamentale delle aspettative, non si può parlare di certezze circa la stima corretta della medesima e la psicologia può incidere non poco. Sono in molti a pensare che quelle aspettative sono forse cresciute un po’ troppo negli ultimi mesi e che qualche ragionevole dubbio è opportuno porselo.

Tornando a quanto sta succedendo oggi dunque, i due fattori che hanno contribuito a un generale ridimensionamento dei titoli cosiddetti “FANG” (Facebook, Amazon, Netflix, Google, e dintorni tra i quali Microsoft, Snapchat, eccetera) sono stati:

– la naturale rotazione dei portafogli degli investitori, i quali oggi ritengono perlopiù di trovarsi in una fase molto matura del ciclo economico e preferiscono puntare su settori industriali più tradizionali;

– i dubbi relativi alla misura effettiva della profittabilità del business digitale in genere, orientato necessariamente a forti crescite nel suo complesso ma al tempo stesso martoriato da un eccesso di concorrenza, come tutti i settori economici che si trovano ad uno stadio più primitivo del ciclo di vita del prodotto,  oltre che sottoposto a continui colpi di scena man mano che le innovazioni continuano a ridisegnarne gli assetti.

Ora è noto che è grande il peso complessivo sul listino di Wall Street della capitalizzazione di borsa dei principali titoli “tecnologici”, così come in Italia risulta esserlo quella delle banche. Ragione per cui una normale manovra di “rotazione” dei portafogli degli investitori istituzionali rischia di incidere non poco sull’andamento dell’indice generale.

NEL COMPLESSO I MOTIVI DI SCETTICISMO SONO FONDATI

Bisogna francamente ammettere che il quadro sin qui riportato è tutto sommato abbastanza preoccupante: un circuito mondiale delle borse valori fortemente condizionato dall’eccesso di liquidità pompata dagli stimoli delle banche centrali, le cui valutazioni sono giunte ai massimi di sempre tanto come valori assoluti quanto in relazione ai multipli di redditività, per di più condizionata da fattori distorsivi come i programmi di riacquisto delle azioni proprie e i sistemi di trading automatici.

Quali sarebbero i valori attuali dei listini di borsa se non fossero intervenuti quei fattori distorsivi, se gli investitori istituzionali non avessero adottato sistemi di trading che fanno propendere per la crescita dei valori basata sulla liquidità disponibile, se non ci fosse stata l’esplosione delle quotazioni dei principali titoli tecnologici (che però sono principalmente basate sulle aspettative di incremento esponenziale degli utili)?

LE VARIABILI MACROECONOMICHE

La vera risposta probabilmente risiede nelle variabili fondamentali dell’economia, le stesse che sino ad oggi sono state un po’ trascurate nella foga delle ipervalutazioni di borsa e che oggi, forse giunti a un punto di svolta, possono illuminare il cammino dinanzi a noi.
Ebbene però: l’indicazione che proviene da quelle variabili non potrebbe essere più positiva! A partire dalla crescita del prodotto mondiale lordo, stimata per il 2017 ad almeno il 3,6% (la più alta dal 2011) e al di sopra della media storica di lungo termine, pari al 3,5% (media altissima che comprende tanto la seconda rivoluzione industriale quanto l’avvento della grande distribuzione, quello dell’elettronica di massa e quello dell’avvento di internet).

A scriverlo è la Morgan Stanley in un suo recentissimo report dove tra l’altro smentisce le previsioni catastrofiche sulle borse formulate dal già citato premio Nobel Robert Schiller.

Una serie di fattori concorrono a questo giudizio così deciso:

– La crescita attuale si sviluppa congiuntamente tanto nei Paesi Emergenti quanto in quelli più sviluppati, con la relativa sorpresa dell’Unione Europea;
– Il commercio internazionale ha ripreso a correre a ritmi elevati sia in volume che in valore, come non succedeva da un quinquennio;
– Anche gli investimenti sono in decisa crescita nel mondo, persino a prescindere dalla solita Cina (che investe mendiamente il 40% del proprio P.I.L.) e questa è una misura piuttosto importante del fatto che la crescita attuale non sia effimera;
– La ripresa economica attuale peraltro è diversa da quella del 2010-2011, nella quale il movimento di rimbalzo dalla crisi profonda degli anni precedenti e la forte spinta degli stimoli monetari ai mercati finanziari avevano di per sé drogato l’effetto statistico finale.

Una volta tenuto conto di tutti questi elementi risulta più chiaro l’ottimismo di fondo espresso da Morgan Stanley per l’economia globale: la ripresa attualmente in corso rassomiglia di più a quella del periodo 2003-2006 che non a quella del 2010-2011 ed è piuttosto equamente ripartita in quasi tutte le zone del mondo.

LA TURBOLENZA POLITICA AMERICANA CONDIZIONA GLI ANIMI

Se teniamo conto del fatto che alla crescita del prodotto interno lordo globale si accompagnano anche la discesa della disoccupazione (o meglio: il maggior numero di occupati) e la ripresa dei consumi, il quadro complessivo dunque spiega piuttosto bene le attese per un forte aumento dei profitti netti delle società quotate, che si accompagna al tempo stesso ad un miglioramento dell’efficienza produttiva, dunque ad un miglioramento dei margini più che proporzionale all’aumento dei fatturati.

Eppure più andiamo avanti e più tra gli operatori serpeggiano dubbi sulla tenuta degli attuali livelli raggiunti dalle borse, a partire dalla più importante di tutti: quella americana.
E qui il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda dell’ottimo adoperata per osservarlo: gli ottimisti ritengono che prima o poi le nubi della lotta politica si diraderanno per necessità, lasciando spazio a quelle riforme volute da Trump e agli ulteriori effetti afrodisiaci sull’economia e a una maggior distensione internazionale relativamente ai focolai di guerra in essere, mentre i pessimisti temono che quanto visto sun qui sia solo l’antipasto di una lotta furibonda tra poteri più o meno occulti, che si svilupperà attraverso nuove guerre e nuovi stop alle riforme economiche.

È evidente che in questo secondo caso “il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo” come argomentava già Alan Turing, in un suo saggio del 1950: “Macchine calcolatrici e intelligenza”, dove anticipava il futuro luogo comune dell’ “effetto farfalla”.
Per quanto improbabile possa apparire, in un mondo magicamente e per la prima volta nella storia davvero interconnesso, non è un’idea che si può relegare alle sole ipotesi scientifiche!

Stefano di Tommaso




I RETROSCENA DEL MILIARDO DI EURO SBORSATO DA MICHAEL KORS PER COMPRARE JIMMY CHOO: UN BIGLIETTO DI INGRESSO NEL PARADISO DEI BENI DI LUSSO

Le sorti del titolo Michael Kors a Wall Street non andavano troppo bene da un anno a questa parte, complice una certa disaffezione degli investitori istituzionali nei confronti dei produttori generalisti di accessori e abbigliamento come pure delle grandi catene fisiche distributrici nel medesimo settore (vedi grafico):

 

NONOSTANTE LA CRESCITA DEL FATTURATO, IL MERCATO AZIONARIO NON APPREZZAVA LA MICHAEL KORS

La stessa Michael Kors aveva annunciato lo scorso Maggio la possibile chiusura di un centinaio di propri punti vendit. La disaffezione del mercato nei confronti delle catene di distribuzione di accessori e abbigliamento ha anche provocato di recente la riduzione del numero di operazioni di fusioni e acquisizioni nel settore, come si può vedere nel grafico qui riportato:

La morsa del commercio elettronico infatti si sente un po’ per tutti gli operatori, ma l’accordo di compravendita relativo a Jimmy Choo (la marca preferita di scarpe dell’attrice Sarah Jessica Parker, notissima come Carrie Bradshaw, protagonista indiscussa della fortunata serie televisiva “Sex&the City”) rivela un aspetto inusitato del mercato: la disaffezione degli investitori evidentemente non riguarda i grandi marchi del lusso!

IL PREZZO È ESORBITANTE MA È UN BUON MATCH

Il prezzo pagato (+36% sul valore di base d’asta dei venditori) appare anche significativamente superiore all’obiettivo di raddoppio delle vendite che Michael Kors si attende dal rilancio di Jimmy Choo: un miliardo di dollari entro pochi anni dopo che la stessa ha concluso il 2016 con un fatturato di $460 mln. Anche prendendo per buono tale obiettivo, il prezzo pagato è ancora del 20% superiore alle vendite attese (in dollari è stato pari a circa 1,2 miliardi!

Invece di preoccuparsene però il mercato azionario americano ha premiato l’annuncio dato da Michael Kors quando questi ha rivelato il fortissimo esborso per la Jimmy Choo. Ecco il grafico:

LA SCARSITÀ DI MARCHI DI GRANDE RINOMANZA

Il più diffuso commento sull’operazione riguarda infatti la relativa scarsità di target di grande qualità per possibili acquisizioni da parte degli altri operatori.
Il mercato scommette dunque sul fatto che i (pochi) marchi di assoluto prestigio restino indenni dalla mattanza dei margini operativi nel settore monda derivante dall’effetto congiunto della globalizzazione e delle vendite online.
In altre parole, l’acquirente attraverso questa operazione, è riuscito a riaffermare la sua  natura complessiva di grande operatore nel mercato dei beni di lusso. Un mercato che non teme rivali in quanto a moltiplicatori e stabilità dei profitti.

IL MONDO DORATO DEI BENI DI LUSSO

Ecco ad esempio il grafico dell’ultimo anno relativo al titolo Kering (conosciuta in precedenza come Pinault-Printemps-Redoute o PPR): una multinazionale fondata dall’imprenditore francese Pinault. Kering capitalizza in borsa 47 volte gli utili attesi di circa un miliardo di dollari e viene valutata perciò 47 miliardi. Come si può vedere l’andamento è rimasto sempre positivo e l’indice della variabilità del suo prezzo in relazione al resto del mercato (il beta) è estremamente ridotto (cioè è un titolo stabile ed in crescita).

UN LEADER CREDIBILE

Le considerazioni degli analisti non si sono evidentemente fermate qui: John Idol, il leader della Michael Kors che l’ha rilevata nel 2003 quando fatturava 20 milioni di dollari, ha chiuso in crescita il fatturato 2016 a 2,4 miliardi di dollari e può vantare una significativa esperienza nel settore in qualità di ex direttore generale di Donna Karan (DKNY), una storica icona della moda americana.

Il suo programma per far crescere il valore dell’acquisizione (dalle sinergie nelle borse da donna a quelle nelle scarpe da uomo) è piaciuto agli analisti ed è stato percepito all’altezza della sfida: quella della sua definitiva accettazione nel mondo dorato del lusso, “l’unica sovrastruttura capitalista non soggetta a cedimenti anche quando il mondo crolla”, come scriveva il beato Antonio Rosmini, per giustificare le spese dei ricchi della cerchia di Alessandro Manzoni che gli permettevano di studiare in collegio a Stresa.

 

Stefano di Tommaso

 




Red Shift

Potrebbe essere arrivato il momento di osservare i mercati finanziari attraverso un diverso metodo, dal momento che quello tradizionale con il quale interpretiamo i risultati dell’analisi “fondamentale” basandola sull’andamento delle principali variabili macroeconomiche, ci fornisce invece un quadro assai contraddittorio, che sinora è stato capace di ingannare la maggior parte degli analisti finanziari.

 

IL CANTO DELLE CORNACCHIE

Sono infatti almeno sei mesi (dopo la fine del 2016 quando la borsa è salita in funzione del cosiddetto “Trump trade”) che ci sentiamo ripetere che i listini azionari sono sopravvalutati, che -compiuti i fatidici sette anni- il ciclo economico positivo non può che volgere al suo naturale termine (almeno in America), che il “tapering” delle banche centrali occidentali restringerà la liquidità in circolazione e tornerà ad alzare i tassi (sebbene per quelle orientali il discorso sia, almeno per il momento, assai diverso) e che dunque sia destinata a sgonfiarsi la gigantesca bolla speculativa che ha favorito i listini e pompato anche i valori dei titoli a reddito fisso.

Sembra sopita per il momento persino la speranza di essere entrati in una nuova epoca che -a partire dal mondo anglosassone- inauguri un deciso taglio alle tasse e un forte incremento degli investimenti per infrastrutture, due fattori che avrebbero il potere di  rilanciare decisamente la crescita economica globale.

Eppure i mercati finanziari non sembrano affatto averla presa male. Restano a galleggiare tranquillamente sui massimi di sempre, assorbendo sinanco l’impatto (oramai dato per scontato) del secondo turno di rialzo dei tassi USA a metà Giugno e, anzi, il corso del Dollaro sembra incamminato verso una china discendente nonostante la Federal Reserve abbia chiaramente indicato che i rendimenti del biglietto verde saliranno tre volte ancora, dopo quello imminente.

LA CRESCITA DEGLI UTILI NON PLACA I TIMORI

Aggiungiamo che i profitti delle società quotate che compongono i principali indici di borsa nell’anno in corso sembrano ulteriormente destinati a crescere: del 24% nell’Eurozona e dell’11% in USA. L’America sembra inoltre veder crescere il suo Prodotto Interno Lordo del 2,3-2,5% quest’anno, contro un 1,6% medio dell’Europa (una crescita media che, senza alcune palle al piede di Paesi resilienti come l’Italia, sarebbe superiore al 2%).

Buone notizie, da piena ripresa economica, o da nuovo slancio del ciclo esistente. Ma secondo gli analisti queste cifre non bastano da sole a giustificare i nuovi massimi dei mercati azionari, non bastano per spiegarne il mancato ridimensionamento. Al contrario! Tutti si aspettano a breve qualche pericolo: un crollo delle borse o, quantomeno, una riduzione dei valori d’azienda espressi dai multipli dei profitti.

Sebbene sia quasi impossibile per chiunque formulare delle ipotesi accurate, lo è tanto più difficile quanto più si voglia navigare controcorrente in contrapposizione al coro generale degli analisti e strateghi di borsa che continuano a guardare la quiete dei mercati quale precursore di tempeste che -nella mia umile opinione- non si materializzano forse mai.

Il mio punto di osservazione mi porta invece a vedere un ordinato dispiegamento di fattori di crescita e di consolidamento dell’economia globale, soprattutto nel continente asiatico, nell’ambito di un mondo che -nel complesso- vede espandere la sua popolazione e la sua produzione di servizi digitali (spesso gratuiti ma che generano comunque importanti valori aziendali) a ritmi ben superiori alle risibili percentuali di crescita economica dell’Occidente.

IL “RED SHIFT” DELL’ECONOMIA MONDIALE

Nell’osservazione dell’Universo, il “red shift” (ovvero lo “spostamento verso il rosso” delle onde elettromagnetiche ricevute) è la constatazione dell’effetto “Doppler” relativo all’allontanamento delle galassie da cui esse provengono, effetto tanto più marcato quanto più sono distanti. Il “red shift” è perciò divenuto nel tempo il sinonimo dell’espansione dell’Universo, misurato in frazioni infinitesimali se proviamo a usare il nostro tempo (anni) e il nostro metro (multipli di chilometri), ma di portata inimmaginabile se lo computiamo su base cosmica, cioè osservando gli oggetti più lontani.

Ed è proprio a partire dall’osservazione degli oggetti più lontani che vorrei argomentare la mia personale spiegazione degli eventi economici globali: la crescita economica che si materializza soprattutto in Asia, con i suoi 5 miliardi di abitanti (quasi dieci volte quelli di USA e Eurozona insieme), i quali in massima parte stanno uscendo adesso dalla condizione di indigenza, è un bradisismo espansivo che trova limitato riscontro nelle statistiche ufficiali, innanzitutto per due motivi:

1) La crescita economica è espressa in valori monetari denominati in divise relativamente deboli rispetto a Dollaro e Euro (si dice che il P.I.L. della Cina avrebbe superato quello americano già nel 2012 se lo Yuan non si fosse svalutato ben di più);
2) una parte consistente della crescita economica è invece basata sulla generazione di contenuti e valori digitali, a partire da quello del Bitcoin, che non trovano posto nelle statistiche ufficiali ma che esprimono valori di accelerazione ben superiori a quelli ufficialmente rilevati.

Si legga ad esempio il saggio di Brookings “l’espansione senza precedenti della classe media nel mondo” nel link qui di seguito: https://www.brookings.edu/wp-content/uploads/2017/02/global_20170228_global-middle-class.pdf.

I BENEFICI PER L’OCCIDENTE

Di una parte di questa crescita si avvantaggiano ovviamente le economie occidentali (ecco che le esportazioni europee crescono ben più delle importazioni, e così si rivaluta l’Euro), un’altra parte di quella crescita va a compensare le esigenze della base demografica che si allarga, una parte di essa infine alimenta l’economia sommersa.
Dunque una parte non trascurabile della “crescita che non si vede” va a ingrassare i profitti delle grandi corporations euro-americane i cui certificati azionari compongono gli indici di borsa. Ed è questo il motivo per il quale i loro profitti crescono oggi ad un ritmo che è dieci volte quello delle economie di loro appartenenza.

Con la crescita dell’economia digitale inoltre i valori inespressi generati dal world-wide web sono probabilmente più elevati di quanto evidenzino le relativamente poche aziende tecnologiche ancora quotate nelle borse valori, la cui maggioranza dei titoli non riguarda l’economia digitale.
Prova ne è la maggior crescita -rispetto agli indici di borsa generali- del listini “tecnologici” come quello del NASDAQ, o meglio ancora gli indici dei valori riferiti alle aziende ipertecnologiche, come il “Robo-Index” (si legga al riguardo un mio recente articolo:  http://giornaledellafinanza.it/2017/05/01/arriva-il-robo-index/ ).

IL RISCHIO DI INCEPPO E LO SPAURACCHIO GEO-POLITICO

È chiaro che la crescita dei valori in gioco e dei profitti (attuali e futuri) che li sostengono può teoricamente portare a incendiare la dinamica salariale, può creare una crisi di liquidità se in parallelo non si diffonderanno ulteriormente strumenti di pagamento alternativi come -appunto- quello del BitCoin, arrivando a generare in definitiva un possibile panico per gli investitori ma, come si dice nell’ambiente aeronautico, “un aereo dentro l’hangar è sempre più sicuro di uno in volo, ma non è nato per restarci”!

Così possiamo prendere in considerazione nelle nostre analisi la probabilità di scossoni stagionali nell’estate, di quelli congiunturali derivanti dal rialzo dei tassi, di quelli prospettici dovuti al ritardo con il quale verranno varate le riforme fiscali e i nuovi grandi investimenti infrastrutturali.
Ma se la crescita economica globale mantiene il suo ritmo attuale, allora le prospettive finanziarie resteranno nonostante tutto fortemente positive!
Questo è anche il motivo per cui tutti si preoccupano per le Borse ma nessuno liquida i propri titoli. E se lo avesse già fatto negli ultimi mesi avrebbe senz’altro sbagliato.

Cosa resta da temere allora? A mio modesto avviso un vero spauracchio, in questa ottica, resta eccome, anzi si dilata, perché può uccidere il vero motore della crescita globale e, indirettamente, silurare i livelli attuali dei listini azionari: è quello della variabile geo-politica!
Il partito della guerra ha sempre tanti sostenitori, troppi, forse, ora che in ballo c’è un’espansione economica come in passato non se ne erano mai viste! Un’espansione corroborata dalla scienza, da un crescente rispetto dell’ambiente, da una relativa pacificazione globale.

Dopo l’astronomia allora è doveroso citare anche la fisica delle particelle: insieme al “red-shift” ci vuole insomma un vero e proprio “quantum leap” (salto quantico) nella qualità della politica internazionale, al fine di riuscire a mantenere le sfere in movimento verso un mondo più complesso sicuramente, ma nel complesso anche migliore.

 

Stefano di Tommaso