IL CARO-PETROLIO PUÒ TRAINARE L’INFLAZIONE

Mentre le economie più avanzate del mondo (e in particolare in America e Asia) ancora gongolano nel godersi i benéfici effetti di uno dei più lunghi e meglio sincronizzati cicli economici positivi di tutta la storia economica (tassi di interesse ancora bassi, profitti industriali alle stelle, commercio internazionale in ascesa, investimenti infrastrutturali di ogni genere allo studio…) i prezzi delle materie prime vanno alle stelle (in special modo petrolio e gas) perché risentono della maggior domanda mondiale.

 

Non c’è molto da stupirsene se non fosse che l’anomalía era stata casomai la loro mancata crescita sino a ieri.

Il fatto è che la ripresa economica in corso non è neanch’essa priva di stranezze, dal momento che la ripresa è stata registrata nelle statistiche ma, per molti motivi (vedi un mio precedente articolo : “amazzonizzazione dell’economia”) non ha generato un’effettiva maggior capacità di spesa degli individui, e non solo nella periferia Europea dove noi viviamo, bensì un po’ dappertutto, a partire dall’America di Donald Trump (che si preoccupa di riportare entro i confini il denaro delle multinazionali perché investano a casa loro e qualche briciola di quel denaro arrivi anche agli operai del mid-west e alle piccole imprese), fino ai paesi del sud-est asiatico che pullula di fervore e sembra essere il crogiolo dell’umanità dei prossimi decenni.

Inoltre la prospettiva di ulteriori tensioni commerciali (se non vere e proprie guerre delle tariffe doganali) ha inoltre aiutato la ripresa dei costi (e quindi anche dei prezzi) di talune materie prime, dando ulteriore fiato ai timori di fiammate inflazionistiche che, tuttavia, fino a ieri non si erano ancora manifestate. Sono in molti a ritenere che nei prossimi giorni il prezzo del barile possa raggiungere la soglia psicologica degli 80 dollari.


L’INFLAZIONE DEI PREZZI E IL PERICOLO DI TASSI TROPPO ALTI

Dopo tanto tuonare però, la pioggia sembra finalmente essere arrivata, e con la risalita dei prezzi di petrolio e materie prime (che aiuta a esportare la ripresa economica ai paesi emergenti, loro grandi produttori), i primi effetti della crescita dell’occupazione, dei salari e dei consumi, cominciano a fare capolino, quali :
– L’incremento dei costi energetici
– L’inflazione di buona parte degli altri prezzi che ne deriva
– Il rialzo dei tassi di interesse che deriva dalle attese di inflazione
– I rinnovati timori per i forti debiti, pubblici e privati che dovranno pagare maggiori interessi.


Chiaramente infatti un’eventuale forte fiammata inflazionistica rilancerebbe l’attenzione sull’importante stock di debito che il mondo intero si porta appresso dall’epoca della grande crisi finanziaria del 2008. Qualora il costo di quel debito dovesse crescere oltremisura l’intero ecosistema economico internazionale si troverebbe a fronteggiare un bel problema!

Tutto scontato e previsto, se non fosse che questi effetti creano pericoli per la tenuta delle quotazioni dei mercati finanziari e che quest’ultima, con la crescente finanziarizzazione dell’economia, non è più un optional, come si è visto dopo i disastri del 2008 !

LA NECESSITÀ DI STABILITÀ DEI MERCATI FINANZIARI

La stabilità dei mercati finanziari è divenuta sempre più importante mano mano che i cittadini del mondo intero hanno scoperto la pressante necessità di questi ultimi tanto per far filtrare le risorse monetarie alle imprese più meritevoli, quanto (e soprattutto) come riserva di valore oramai essenziale per andare a sostituire le sempre più esigue risorse dei welfare nazionali destinate a infrastrutture, previdenza sociale, sanità e sicurezza.

La crescente “privatizzazione” della maggior parte delle funzioni che in passato erano assolte dalle pubbliche amministrazioni rende dunque quantomai necessaria non soltanto la stabilità dei prezzi (inflazione) ma addirittura anche quella dei mercati finanziari ! Il mondo cioè può permettersi sempre meno che l’arrivo di una seppur periodica e limitata recessione economica arrivi anche a generare forti cadute delle borse o forti impennate dei tassi di interesse.

LA PROBABILE RESILIENZA DI FONDO

Fortunatamente tuttavia, alla necessità generale che ciò non accada si affianca, più o meno inspiegabilmente, la sua scarsa probabilità complessiva. L’inflazione può arrivare cioè, magari trainata proprio dalla crescita di domanda di materie prime ed energia, e le borse possono affrontare un periodo di moderata correzione al ribasso per scontare una risalita dei rendimenti di mercato, ma nessuno si aspetta davvero l’apocalisse né che essa permanga stabilmente!


Ovviamente se lo scenario dei mercati finanziari dovesse procedere in questa prospettiva molta ricchezza rimarrebbe più o meno nelle casse delle banche, spesso liquida e quasi inutilizzata, e questo altrettanto ovviamente non è un bene, ma la verità è che se il petrci sono molti fattori correttivi che in caso di emergenza si metterebbero all’opera (primo fra tutti il monitoraggio da parte delle banche centrali, ma anche le importanti riserve di petrolio sino ad oggi non sfruttate, i produttori americani che fanno “fracking” pronti ad immettere sul mercato forti quantità a questi prezzi, eccetera) per ristabilire l’equilibrio sui mercati.


Stefano di Tommaso




I CONSUMI DEI MILLENNIALS RIVOLUZIONANO L’INDUSTRIA

LE NUOVE GENERAZIONI RIVOLUZIONANO I CONSUMI, L’INDUSTRIA E LA DISTRIBUZIONE. MEGLIO PER OGNI OPERATORE ECONOMICO E FINANZIARIO ATTREZZARSI PER TEMPO INTERPRETANDO LE NUOVE TENDENZE E CERCANDO DI CAVALCARLE

C’è un profilo di uomo nuovo che appare oggi sempre più distintamente all’orizzonte delle categorie sociologiche e comportamentali: quello dei “millennial”, cioè di quei ragazzi e ragazze che appartengono alle ultime generazioni, nate o cresciute a cavallo del nuovo millennio. In questi anni i millennial stanno terminando gli studi o si sono da poco avviati alla vita lavorativa, iniziano a costituire un insieme a sé di percettori di reddito e comunque si sono distinti da da tempo come nuova categoria di consumatori e, come forse non era così scontato immaginare fino all’altro ieri, condividono un sistema di valori, un insieme di preferenze e una serie di aspirazioni per il futuro che appaiono fortemente discordanti con quelle delle generazioni precedenti.

È dunque inevitabile che questo impatterà non poco sulle tendenze di fondo dell’industria, dei consumi e della distribuzione come è altrettanto inevitabile che ne rimarranno segnate molte altre tendenze, da quelle della moda, ai servizi, alla politica e alla cultura, con ovvie conseguenze sui settori dell’intrattenimento, dell’elettronica , del software e delle telecomunicazioni, come nell’ambito dei trasporti e dei beni di consumo durevole, sino agli investimenti finanziari.

UN’ONDA LUNGA NEI CONSUMI E NELLA DISTRIBUZIONE

Più che una vera e propria rivoluzione culturale -che per certi versi ne deriverà presto e inevitabilmente- il fenomeno legato alle differenti categorie comportamentali e aspirazionali dei millennial al momento si profila come un’onda lunga sul fronte dei consumi, uno tsunami silenzioso ma imponente, in grado di sradicare molta parte dell’attuale comparto manifatturiero, di rovesciare buona parte dei criteri del marketing e della pubblicità e di radere al suolo la quasi totalità dei precedenti sistemi di distribuzione e commercio. E se questo sarà il portato della silenziosa quanto travolgente sovversione in corso è forse bene che non la analizzino e se ne preoccupino soltanto i sociologi, i filosofi e gli artisti, ma anche e soprattutto gli economisti, i politici e gli imprenditori.

Che non si tratti -solamente- di uno dei mille volti della digitalizzazione dell’economia, della sua transizione verso il commercio elettronico, la condivisione in rete delle informazioni e la diffusione globale della conoscenza di una nuova lingua universale come l’inglese (tutti fenomeni assolutamente reali e dirompenti ma che appartengono invece alla generazione precedente) lo testimoniano alcuni cambiamenti di costume che ci apprestiamo ad esaminare con attenzione per cercare di delineare meglio ciò che sembra possa accadere all’economia del nuovo millennio.

COME CAMBIANO I GUSTI E LE ABITUDINI

L’Abbigliamento per esempio. Lo si è iniziato a notare con la ripresa economica che, avviata oltre oceano alla fine dello scorso decennio, arriviamo a toccare con mano sul fronte dei consumi solo negli ultimi dieci-venti mesi nel vecchio continente. Nonostante la spesa per consumi si riprenda, il settore dell’ “apparel” (che nell’accezione più comune comprende oltre agli articoli del tessile/moda in senso stretto anche gli accessori, i gadgets ornamentali e le dotazioni destinate all’esercizio fisico o al corredo d’abbigliamento ad uso lavorativo) sembra addirit8andare in senso opposto: verso il baratro.

I gusti e la cura della persona nelle nuove generazioni sembrano semplificarsi, limitarsi, tendere insomma all’essenziale, deprimendo le vendite ed esaltando l’essenzialità, il riciclo e l’omologazione dei prodotti che essi tendono ad acquistare. In poche parole è come se l’intero comparto dell’abbigliamento avesse perduto il suo fascino agli occhi delle nuove generazioni.

Le conseguenze economiche di una tale tendenza sono ovviamente dirompenti, soprattutto per Paesi e sistemi economici come il nostro, che tendono a contare non poco su questo comparto e sul design che lo anima. Quanto questo fenomeno di costume possa in ultima analisi farsi anch’esso risalire alle conseguenze ultime della digitalizzazione e della globalizzazione è arduo dire. E poi esula da questa indagine. Ma il dato di fatto rimane: se i consumi di questo settore crollano, interi sistemi-paese ne sono minacciati.

I numeri parlano chiaro soprattutto negli Stati Uniti d’America, che usualmente anticipano sempre le tendenze del resto del mondo: L’abbigliamento nel 2016 ha costituito soltanto il 3,6% del totale della spesa del consumatore medio americano, contro il 5,1% pagato per l’intrattenimento, l’8,5% per la salute e il 12,6% per il cibo.  Accorpando diversamente i dati viene fuori che la spesa per “esperienze” (dove comprendiamo viaggi, ristoranti e altre attività tipicamente di gruppo) ha raggiunto invece il 18% del totale mentre la sola spesa per le “tecnologie” (ivi compresi gli abbonamenti alle tv online e ai servizi online) supera il 3% (cioè quasi quanto l’intero comparto abbigliamento, accessori e calzature). E visto che parliamo della spesa del consumatore medio americano dobbiamo considerare ancora il basso impatto su quella media delle tendenze emergenti, legate alle preferenze delle nuove generazioni (ancora più dirompenti).

Ma legato al declino delle vendite nell’abbigliamento e negli accessori di moda e di costume vi sono quelli ancora più vistosi del commercio e della distribuzione tradizionale. Una vera ecatombe di negozi che chiudono, grandi magazzini e centri commercio che si ristrutturano (lasciando sempre più spazio al gioco, all’intrattenimento e alla cura della persona) grossisti e distributori internazionali che lasciano il loro spazio di mercato alle nuove forme di consumo online e alle grandi (e dilaganti) organizzazioni/società multinazionali che si occupano sempre più direttamente della vita, dei consumi, della sanità e delle assicurazioni del loro personale (soprattutto quello meglio retribuito).

Quello che si vede ad occhio nudo nella maggiore informalità dell’abbigliamento anche sul posto di lavoro si esprime in una vera e propria rivoluzione delle catene di negozi: crescono quelle in formato GDO (grande distribuzione organizzata) orientate al risparmio e all‘essenziale e si riducono quelle frequentate dal consumatore medio, i multimarca e persino il lusso. Presto la cravatta sarà un ricordo delle generazioni passate ma persino l’abbigliamento di scopo (tute da lavoro, divise, accessori di sicurezza ecc…) si comprime insieme al numero di persone occupate nell’industria manifatturiera (sempre più automatizzata), nell’agricoltura e nell’artigianato.

Ma anche nell’intrattenimento (musica, cinema, discoteche, club, ristoranti ecc…) è in atto una rivoluzione silenziosa e dilagante. Si sa che i millennial sono persone piuttosto schive, poco amanti dell‘ ostentazione e dei fenomeni da baraccone, dei ristoranti e del lusso esteriore (cerimonie di battesimo, compleanno, matrimonio e funerale comprese). I loro archetipi,si chiamano Mark Zuckerberg (Facebook), Jeff Bezos (Amazon), o se vogliamo proprio parlare di “mummie” redivive allora prendiamo il fondatore di Virgin, Richard Branson.

I millennial fanno relativamente poca attività fisica ma mangiano cibo integrale e biologico e assumono poco alcool, parlano le lingue straniere e il linguaggio delle macchine / della tecnologia ma sembrano amare la sobrietà, l’intimità, gli spazi funzionali e ordinati, i ritrovi segreti, i viaggi e gli appuntamenti all’altro capo del mondo, i messaggi in codice e i simboli, soprattutto quando sottemdono a una combinazione di culture, popoli, spiritualità e salute mentale.

COME CAMBIANO GLI INVESTIMENTI E LE PREFERENZE

Difficilmente comprano automobili e case (piuttosto le affittano per brevi periodi) mentre spendono fiumi di risorse in tecnologie di ogni genere e investono i loro denari sui mercati finanziari. Detestano però le banche tradizionali, i titoli a reddito fisso e la medicina tradizionale. Sembrano (ma è presto per dirlo) voler dedicare molto più tempo alla cura della salute, alla prevenzione dall’invecchiamento e si preparano a una cultura più consapevole e universale, ma anche più “tribale”, con la riscoperta delle antiche tradizioni di famiglia e il gusto per la ricerca delle proprie origini.

Cercano consigli online, trovano ogni genere di pubblicazioni e notizie gratis sulla rete e comunicano (per iscritto) come matti tra loro ma parlano meno e disertano le folle. Ma dopo che hanno trovato la loro aspirazione sembrano più fedeli alle loro idee, più orientati al lungo termine (anche perché si attendono in media una vita ultracentenaria) e in generale più favorevoli ad investire per l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Difficile racchiudere nelle poche parole di un articolo tutto quello che ne potrà conseguire in termini di consumi, di infrastrutture, di investimenti e di tendenze sociali ma una cosa è certa: il futuro che sembra delinearsi sarà quantomai dirompente per quasi tutti i business tradizionali, per i beni di lusso, i locali notturni e le professioni liberali, i beni di consumo durevole e l’edilizia. Difficile anche presumere quali settori sembrano “tirare” maggiormente, perché il fenomeno è piuttosto recente. Ma se va avanti così è agevole pronosticare il successo di coloro che condurranno ricerche di mercato: ce ne sarà bisogno praticamente per chiunque!

Stefano di Tommaso